Tag: La pensione Beaurepas

Da un cono gelato fino in America

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Photo via Pexel – www.pexels.com

Prendiamo una mattina di ordinaria “corsa ai saldi” in un affollato centro commerciale romano. L’aria che respirate è quel caratteristico mix di mancanza di ossigeno, puzzo di fritto e profumo per ambiente troppo dolce. Facciamo che non ce la fate più a fare lo slalom tra carrelli e famigliole sguaiate con pargoli incontrollabili al seguito e facce genitoriali appese, arrese al caos e al disagio. E ora guardatevi voi, in cerca di tregua, che vi muovete come anime in pena tra le decorazioni kitsch stile crociera popolare del primo piano. Kitsch come solo i centri commerciali sanno essere. In testa una domanda: Perché?.

Siete prossimi al tracollo psicologico. Il bambino che vi sta fissando da più di trenta secondi mentre lecca un enorme e gocciolante gelato al cioccolato vi spinge ad allontanarvi a razzo dalla vetrina di quella boutique di abbigliamento di alta gamma che vi piace tanto. Più in fretta di quanto non vi abbiano già suggerito tutti gli zeri di tutti quei cartellini dei prezzi messi insieme e schierati davanti a voi. Tanti zeri quanti sono i soldati dell’esercito di terracotta di quel famoso imperatore cinese, tanto per rendere l’idea. Ma niente. Anche davanti a un battaglione di zeri, nella scala del terrore vince per KO il pargolo cono-munito.

Improvvisamente, nel pieno dello sconforto, scorgete un posto deserto, fresco, ancora non in debito di ossigeno. Luci soffuse, niente musica house. È una libreria! La guardate con somma gioia ringraziando la vostra buona stella urlando dentro di voi: “Sììì, grazie al cielo sono un lettore!”.

Entrate con un sorriso a cinquantadue denti e un gratitudine calda che trabocca dal vostro cuore. Vi mettete a curiosare tra gli scaffali mezzi vuoti senza meta. Nessuno che vi dice che nel caso sono lì ad “aiutarvi per qualsiiiiiaaaasi cosa”. Ah, la gioia della ricerca calma e solitaria! Dopo poco scorgete un volumetto della Mattioli 1885. In copertina il nome e il faccione rassicurante a tinte morbide di Henry James e un titolo: La pensione Beaurepas. Aprite il suddetto volume e apprendete che si tratta di una raccolta e che oltre al racconto che le dà il titolo sono inclusi Un fascio di lettere e Il punto di vista. Tre racconti! Un raggio di luce scende su di voi pieno di pace e di promesse. Facendo attenzione potete persino sentire un coro di angioletti riempire lo spazio circostante.

By the way, leggete le prime righe e vi sentite a casa:

«Non ero ricco, anzi, e mi avevano detto che la pensione Beaurepas era a buon mercato. Mi avevano anche spiegato che una pensione era il posto ideale per studiare la natura umana. Volevo fare carriera letteraria…».

Tombola! In trenta secondi siete alla cassa con il bancomat in mano. Non capite neanche voi come sia arrivato fin lì. Il coro di angioletti sale come in un crescendo rossiniano del Guglielmo Tell. Con il volumetto in mano vi fiondate per la scala mobile fendendo la folla come foste un sacerdote in mezzo agli Indios da convertire e il Verbo da diffondere. Ignorate le urla, i sacchetti che vi urtano le gambe e il puzzo di fritto. Del bambino cono-munito non v’è traccia. Salite in macchina e sorridete scoprendo che alla riga dodici James cita il vostro adorato Balzac e la magnifica scena di apertura di Père Goriot… «la pensione bourgeoise» di Madame Vauquer nata De Conflans. Un pezzo di cinema scritto su carta e quanto di più caro avete tra i vostri ricordi universitari.

Nelle ore successive, una volta a casa sulla vostra poltrona preferita, nella posizione che solitamente assumete per leggere e che somiglia a quanto più di fetale possiate fisicamente riprodurre, scoprite tante altre cose.

Ad esempio che vi mancava una certa sinuosità di scrittura, che Henry James non è quello che avete letto in Daisy Miller e che in questi strani racconti state su un confine. Un confine elegante tra culture, tra menti, tra generazioni, tra lingue. Sono racconti particolari, uno è addirittura costruito con uno scambio di missive. Una cosa che non vi era mai capitato di leggere. Era forse dai tempi di Dracula che le lettere non vi facevano quell’effetto.

A pagina trentanove poi succede quella cosa che somiglia ad una magia. Il libro sembra parlare esattamente a voi. Uno dei personaggi che fino a quel momento non vi aveva particolarmente ispirato si gira verso di voi, che siete ormai comodamente affondati nella poltrona, e come fosse Kevin Spacey in House of Cards ma molto meno cattivo vi guarda negli occhi e vi parla.

Desidero fermarmi un po’ – solo un po’. Abbiamo di certo fatto moltissimo, possiamo anche riposarci un attimo; fare una pausa. È proprio così che mi sento – vorrei fermarmi solo un po’, aspettare! Ho visto tanti cambiamenti. Adesso vorrei assorbire, assorbire – trattenere, trattenere.

Oh, grazie signora Church! Vi sentite decisamente dispiaciuti per averla giudicata male… Il punto è che avevate bisogno proprio di quello. Dopo mesi trascorsi a leggere racconti a raffica in cerca di qualcosa di intelligente da scrivere sul nuovo blog, queste parole sono come acqua fresca. Stavate smarrendo la vostra strada, vi eravate persi, presi dall’ansia di essere aggiornatissimi, originalissimi e pieni di tutti gli “-issimi” che solitamente vi buttate addosso.

Ma ora è chiaro: trattenere è l’idea che porterete con voi. Quella che vi sosterrà nei momenti in cui vi sentirete abbattuti, indietro rispetto al resto del mondo. James vi ha fatto ricordare che fare le cose deve andare di pari passo con il dare un senso a quelle stesse cose. Un senso e un valore a ciò che leggete e al perché le leggete.

In quei tre racconti, però, non c’è solo questo. Sono molte le cose che avete… assorbito. Potreste fare una lista infinita. Avete trovato un passaggio in cui si riflette sul fatto che imparando una nuova lingua “non sai che cosa puoi dire finché non ci provi”, un altro in cui un uomo medita sul “piacere della gradualità” di un corteggiamento e su quanto questo sia almeno pari alla sensazione di “abbattere il fortino” della ritrosia femminile. Avete provato tenerezza per una signora che pensava di riuscire a portare con sé convenzioni e reputazione come fossero vestiti stipati al sicuro in un baule. Avete solidarizzato con un giovane di Boston stanco dell’«acqua con ghiaccio» compulsivamente servita in un albergo americano, mentre ripensa con nostalgia agli angoli della sua Parigi e alla ragazza che lì ha lasciato. «Ci siamo trovati, e per un attimo questo è bastato. Adesso l’ho persa; mi dispiace, perché amava stare ad ascoltarmi. Se n’è andata; non la rivedrò più. Amava stare ad ascoltarmi; riusciva quasi a capire!».

E poi la cosa che vi ha fatto definitivamente capitolare persuadendovi che quel libro stava veramente parlando a voi. Uno scambio di impressioni tra un signore inglese e una ragazza americana che per la prima volta vede la sua terra natìa sporgendosi dalla ringhiera della nave in procinto di entrare nella baia di New York. La ragazza si vanta di aver imparato il “napoletano” e scalpita perché non vede l’ora di conoscere il nuovo mondo e di buttare via il vecchio, mentre il suo interlocutore, più esperto e smaliziato, mostra maggiore cautela confidandole che dopotutto di cose belle ne ha viste. Le porterà con sé avendole sapute “trattenere” a suo tempo: «Le isole? Ah mia cara signorina, io ho visto Capri, ho visto Ischia!».

Trattenere, conservare, fare tesoro. Non volare sulle parole, ma cercare il significato, farlo decantare dentro di sé come un vino buono. Non consumare, ma lasciarsi trasportare. Ecco quello che cercate. Ecco quello che i grandi autori sanno fare. Osservare sotto la superficie delle cose e mostrarle senza dire. Per fissare e regalare qualcosa all’anima.

Concludo con una nota di metodo. Ho usato la seconda persona plurale perché volevo portarvi con me. Da lettore a lettore. Volevo che sentiste la gioia che ho provato nel trovare quello di cui avevo bisogno. Un istinto di fuga e poi l’approdo in un porto sicuro. In un certo senso è quello che auguro anche a voi e che spero si realizzi ogni volta che deciderete di leggere Tre Racconti. Noi, di sicuro, ce la metteremo tutta per non deludervi.