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I Vedovi Neri di Isaac Asimov

Ovvero come eccellere senza prendersi troppo sul serio

Wood engraving by F. Wentworth after H.K. Browne
Wood engraving by F. Wentworth after H.K. Browne

Ad ogni buon navigante dei mari della letteratura è capitato di fare rotta, di tanto in tanto, nelle torbide e burrascose acque della cosiddetta letteratura di genere, definizione qui usata non a scopo dispregiativo come spesso accade. In queste acque, capita di fare gli incontri più disparati: pirati da fare invidia al Corsaro Nero ma anche valenti gentiluomini che con la loro penna hanno dato vita a opere che, pur venendo snobbate dai mondanissimi salotti letterari si sono col tempo imposte, guadagnandosi il rispetto e l’affetto di numerosi lettori.

Tra queste figure spicca Isaac Asimov, professione chimico ma noto ai più per le sue opere fantascientifiche. Forse meno noto ma comunque assai apprezzabile è invece il suo contributo al genere giallo, rappresentato principalmente dal prestigioso club dei Vedovi Neri.

Il club venne idealmente fondato nel 1971 anno della comparsa del primo racconto della serie, e nasce come omaggio di Asimov ai classici del giallo (quello tradizionale, cerebrale, alla Hercule Poirot), genere di cui era un grande appassionato. I Vedovi neri sono sei eccentrici gentiluomini, che si riuniscono una volta al mese per una serata in compagnia, serata nella quale la presenza femminile è rigorosamente vietata. L’impianto dei racconti è sempre il medesimo: a turno ciascun membro ricopre il ruolo di anfitrione e presenta un ospite. L’ospite in cambio della cena deve sottoporsi a un pressante interrogatorio, la cui prima domanda è sempre: «lei come giustifica la sua esistenza?». Solitamente nel corso dell’interrogatorio l’ospite propone un piccolo o grande mistero che, dopo accalorate discussioni, viene puntualmente risolto dall’impeccabile cameriere Henry, membro onorario del club e unico dei protagonisti a non avere un equivalente nella realtà. Asimov infatti modellò i suoi personaggi su un vero club a cui apparteneva (il club dei Trap Door Spiders, per chi fosse curioso di approfondire Wikipedia ricostruisce le identità delle persone alle quali si è ispirato per i suoi Vedovi Neri), oltre allo spunto per i personaggi vengono dal Trap Door Spiders anche il rito dell’interrogatorio pressante e l’appartenenza al genere maschile come prerequisito fondamentale per l’ammissione. Più o meno come se io scrivessi una serie di racconti che ruotano attorno a una rivista letteraria animata da strani ma simpatici personaggi (Ehi a pensarci bene non suona così male, vero? A proposito, avete già dato un’occhiata alle nostre biografie?).

I racconti nascono per essere pubblicati su rivista (di solito l’Ellery Queen’s Mystery Magazine) con un discreto intervallo nel tempo di pubblicazione tra l’uno e l’altro. Letti in raccolte, come sono disponibili oggi, potrebbero risultare monotoni e noiosi. Invece non è così. In primo luogo perché Asimov riesce a inserire in ogni racconto un qualche elemento nuovo che spinge ad andare avanti nella lettura, ma anche perché è proprio la ripetitività ad essere una carta vincente, fornendo al lettore uno spazio comodo e familiare nel quale rifugiarsi e ritornare risolvere misteri assieme a facce amiche (in teoria, in ossequio alle regole non scritte dei gialli tradizionali, il lettore può sempre arrivare alla soluzione prima che la fornisca l’autore anche se personalmente non ci sono mai riuscito). Interessante quasi quanto i racconti stessi è il breve spazio che l’autore si ritaglia alla fine di ogni racconto, un punto di dialogo diretto con il lettore, nel quale Asimov racconta alcuni retroscena sulla stesura dei racconti con il tono di chi non vuole prendersi troppo sul serio. Il nostro è abbastanza autoironico in queste raccolte e arriva al punto di inserire se stesso in una discussione tra i membri del club. Lo fa con queste parole:

«Asimov. Un mio amico. Scrittore di fantascienza e presuntuoso in modo patologico. Si porta una copia dell’Enciclopedia alle feste e dice: “A proposito di cemento armato, l’Enciclopedia della Columbia tratta in modo eccellente l’argomento solo 249 pagine dopo la voce su di me. Guardate”. E poi fa vedere la voce che parla di lui».

In queste postfazioni l’autore approfitta inoltre per segnalare le correzioni apportate ai racconti rispetto alle versioni apparse sulle riviste: oltre ai titoli quasi sempre cambiati talvolta sceglie di seguire il consiglio dei lettori più attenti e pignoli, modificando qualche dettaglio della trama: «Il che dimostra, incidentalmente, che i lettori non sanno soltanto sfornare domande fastidiose […]. Talvolta sono molto utili e in queste occasioni li apprezzo molto».

Asimov è onesto, riconosce che i suoi racconti sono tutt’altro che perfetti e in qualche caso se ne scusa pure con il pubblico. Tuttavia è riuscito a creare un prodotto godibilissimo, che non stanca e che ci fa affezionare ai protagonisti già dopo poche battute. La forza dei racconti dei Vedovi Neri, e di tante altre opere simili che vengono relegate, spesso troppo frettolosamente, nel calderone della letteratura di secondo piano, sta proprio nell’umiltà con la quale si propongono. Umiltà che molte volte manca a parecchi autori, anche contemporanei, che peccando di esuberanza tentano troppo spesso di dare vita a opere che non sono alla portata delle loro gambe e che per rincorrere non si sa bene quale modello ideale astratto di “alta letteratura” finiscono col mancare di personalità, quando non proprio d’anima. L’umiltà di Isaac Asimov sta anche nella volontà di mettersi a nudo davanti ai lettori e che si incarna nelle postfazioni ai racconti. Già solo il fatto che l’autore scenda dal suo piedistallo e rinunci alla sua posizione privilegiata per coltivare un dialogo a tu per tu col proprio lettore è cosa più che lodevole. La lezione dei Vedovi Neri che credo qualunque autore, ma soprattutto gli emergenti dovrebbero far propria, è quella, per utilizzare una metafora culinaria, di preparare una piccola ricetta e non un piatto da gourmet. Va bene anche se la pietanza non raggiunge il punto perfetto di cottura, l’importante è che ci sia almeno un ingrediente che ci spinge ad assaggiarla ogni volta con ritrovato appetito.