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La cosa marrone chiaro di Fritz Leiber

Racconti horror da brivido per combattere la calura estiva

Corridoio creepy buio
Photo by Herm via pixabay

Afa, Caldo torrido, trentotto gradi all’ombra.  Se vivete anche voi in Italia immagino che siano termini che in questi giorni evochino in voi sensazioni fin troppo familiari. Fortunatamente c’è la lettura a venire in soccorso di noi bibliofili, attività che mette in moto l’immaginazione, ovvero quella particolarissima facoltà dell’essere umano che ha il potere di «rapirci in un mondo interiore strappandoci al mondo esterno, tanto che anche se suonassero mille trombe non ce ne accorgeremmo»[1]. Cosa potrà mai quindi un po’ di calura contro il potere della fantasia?

Chi scrive abita in un posto discretamente isolato, di quelli in cui, se ti affacci dalla finestra in una notte senza luna, sei quasi totalmente circondato dall’oscurità. Gli unici suoni a far compagnia i versi di insetti e delle bestioline notturne che si aggirano nel cortile. Un’ambientazione perfetta insomma, per iniziare una bella raccolta di racconti dell’orrore.

Oggi infatti torno ad addentrarmi nel mondo della letteratura di genere (che se mi leggete da un po’ sapete quanto mi stia a cuore) con La cosa marrone chiaro e altre storie dell’orrore di Fritz Leiber. Il volume è pubblicato in Italia dalla Cliquot, casa editrice romana che ha come mission quella di riportare alla luce e digitalizzare opere e autori dimenticati dalla grande editoria. Com’ è stato per i racconti di Fritz Leiber, che dopo un paio d’anni di disponibilità in formato esclusivamente digitale si sono da pochissimo incarnati anche in una bella edizione cartacea.

Fritz Leiber, è stato un autore americano molto prolifico, che ha sperimentato diverse forme della narrativa di genere. Le sue opere spaziano dalla fantascienza all’horror, passando per il fantasy. È a lui che si deve l’invenzione del termine sword and sorcery che ha dato il nome ad un intero filone di storie (quelle coi tizi con le spade che vanno in giro a caccia di malvagi negromanti per capirci) al quale i suoi romanzi hanno contribuito in buona misura ad accrescere le fila.

Come molti autori d’oltreoceano del secolo scorso, e in particolare quelli che si dedicavano ad un certo tipo di letteratura, gran parte della produzione letteraria di Leiber passò per le riviste specializzate. Riviste dai nomi evocativi, come Weird Tales, Fantastic stories of immagination, Whispers. In coda al libro troviamo anche uno scritto in cui l’autore ripercorre il suo travagliato rapporto con Weird Tales, una storia di amore “a distanza” la definisce Leiber, costellata anche da molti rifiuti che probabilmente contribuirono in una certa misura ad influenzarne lo stile. Federico Cenci, curatore e traduttore del volume, ricorda nell’introduzione come la trama di alcuni racconti sia stata, almeno all’inizio della carriera letteraria dell’autore, legata a molti stereotipi del genere considerati necessari per far sì che i racconti venissero pubblicati. Ciò non significa che Leiber sia rimasto fossilizzato in un’unica formula piegando la sua inventiva alle semplici logiche editoriali. Se nella sua prima produzione è molto riconoscibile l’impronta di autori come Lovecraft, le opere più mature hanno subito invece l’influenza della psicoanalisi e delle teorie junghiane.

Un grandissimo autore di storie horror, e precursore del genere, viene omaggiato con il ruolo di protagonista in uno dei racconti. Leiber ce lo descrive così:

«L’uomo sembrava più vecchio di quanto non fosse in realtà, almeno secondo la stima che farebbe un assicuratore. Anche lui era pallido e avvolto in abiti scuri. Indossava un cappotto di alpaca nero. Gli occhi infossati e permanentemente anneriti dalle bastonate invisibili della vita gli conferivano un certo fascino. Eppure c’era del brio, uno slancio romantico e disperato al contempo. Portava una camicia bianca con un cravattino nero, e una sobria riga di baffi all’altezza del labbro superiore.»[2]

Indovinato di chi si parla? Vi concedo un altro aiuto, siamo nel 1849, di più non dico per non incorrere nelle ire dei sensibili allo spoiler, temibili almeno quanto un mostro che si nasconde in un angolo buio.

La realtà quotidiana e una certa dose di elementi autobiografici sono altri ingredienti dei racconti di Fritz Leiber. La cosa marrone chiaro, racconto che dà il titolo alla raccolta, narra ad esempio di uno scrittore che è uscito con fatica dalla sua dipendenza dall’alcool, problema che afflisse anche l’autore per un certo periodo della sua vita.

Naturalmente non è certo il problema dell’alcolismo il tema centrale del racconto, e mi auguro per Leiber che nella sua vita non abbia mai dovuto avere a che fare con la terribile creatura marrone che viene affrontata in queste pagine. Nemmeno l’entità soprannaturale tuttavia riesce a far tornare il protagonista della storia tra le braccia dell’alcool e mi domando se l’autore non volesse dirci, in fondo, che nella vita di tutti i giorni possono nascondersi demoni ben peggiori di qualunque creatura di fantasia.

«Saresti in grado di fermare un missile atomico in rotta per San Francisco, in questo preciso momento, attraverso la ionosfera? Saresti in grado di controllare i germi del colera? Di sopprimere la tua Anima o la tua Ombra? Di fermare un poltergeist con un “Si prega di non bussare”? Non puoi rimanere in guardia ventiquattr’ore al giorno per mesi, per anni. Credimi, io lo so. Un soldato in trincea non può predire se la bomba successiva lo colpirà oppure no. Impazzirebbe se ci provasse. No, Franz, tutto ciò che puoi fare è sbarrare porte e finestre, accendere tutte le luci e sperare che l’entità non si fermi da te. E cercare di non pensarci. Mangiare, bere e stare allegri. Svagarsi. Dai, beviamoci su».
Ritornò verso Franz con un bicchiere pieno in ognuna delle due mani.
«No, grazie» disse Franz aspramente […]»[3]

Questo scambio di battute tra il protagonista e un suo amico è un esempio di quello che intendevo poco sopra. Il racconto verrà poi ripreso e rielaborato da Leiber, fino a trasformarsi nel romanzo Nostra signora delle tenebre[4], pubblicato nel 1977 e tra i suoi maggiori successi.

Al di là delle note personali e autobiografiche rintracciabili al loro interno, i racconti di questa raccolta sono un must per gli appassionati dell’horror, e più in generale per chi cerca una lettura non troppo impegnativa ma che sia in grado di regalare momenti di qualità. Le pagine del libro sono popolate di demoni, streghe e spettri, che possono annidarsi nei luoghi in cui meno ce lo aspettiamo. Anche e soprattutto nelle nostre moderne metropoli, dove ingenuamente crediamo di poter essere al sicuro, protetti da un’aura di razionalità e tecnologia che ci dà solo l’illusione di essere immuni dagli attacchi di queste presenze. Credetemi, dopo aver letto questi racconti non guarderete con gli stessi occhi nemmeno l’androne del vostro condominio. E l’afa estiva sarà l’ultimo dei vostri pensieri.


[1] La citazione è una parafrasi di Italo Calvino di un verso di Dante, che si può leggere nella sua lezione americana sulla Visibilità. Italo Calvino, Lezioni Americane, Mondadori, 1993, (p. 92).

[2] Fritz Leiber, “Richmond, fine settembre, 1849” ne La cosa marrone chiaro e altre storie dell’orrore, Cliquot, 2015, (p. 69 dell’edizione in formato epub).

[3] [3] Fritz Leiber, “La cosa marrone chiaro (seconda parte)” op. cit. (pp. 152-153 dell’edizione in formato epub).

[4] Traduzione italiana del titolo originale Our lady of Darkness, Milano, Mondadori, 2002.