In una conferenza del 1961, intitolata Dialogo di due scrittori in crisi, Italo Calvino descriveva l’inquietudine e lo smarrimento che prova uno scrittore di fronte al problema di raccontare l’uomo in rapporto alla sua contemporaneità. La questione che si poneva Calvino, e che a sua volta animava la discussione con il coprotagonista del suo dialogo, lo scrittore Carlo Cassola, era quale fosse la strada da percorrere.

Ci vediamo di rado, io e questo mio amico [Cassola], una volta all’anno sì e no, ma ci scriviamo ogni tanto. E sempre, per lettere e a voce, siamo di parere contrario. Lui mi dice che la letteratura del nostro secolo ha sbagliato tutto, che è una letteratura intellettualistica, arida, falsata alle radici dalle premeditazioni polemiche; mi dice che bisogna tornare ai sentimenti, all’adesione diretta alla vita dei grandi scrittori dell’Ottocento. Io gli controbatto che si deve esprimere la vita moderna, nella sua durezza, nel suo ritmo, e anche nella sua meccanicità e disumanità, per trovare le fondamenta vere dell’uomo d’oggi.
Se dovessi definire il lavoro di Paolo Zardi, lo situerei esattamente in mezzo alle visioni proposte da Calvino e Cassola. Nei suoi romanzi, e in misura maggiore nei racconti, lo scrittore padovano è riuscito a mettere insieme sia un certo «ritorno ai sentimenti, all’adesione diretta alla vita dei grandi scrittori dell’Ottocento», sia «la vita moderna, nella sua durezza, nel suo ritmo, e anche nella sua meccanicità e disumanità». Se la visione di Cassola guarda all’Ottocento, e quella di Calvino è puramente novecentesca, la proposta di Zardi ha il sapore del duemila. In Zardi un certo cinismo, a volte un certo gusto per il grottesco e una certa disillusione novecentesca sono accompagnate da un barlume di speranza; una speranza che è spesso custodita nelle profondità dell’animo umano.
Attraverso i racconti
La sensibilità della penna zardiana, e allo stesso tempo la lucidità nel raccontare la nostra contemporaneità, si erano già messe in mostra in Antropometria, la prima raccolta di racconti pubblicata da Neo edizioni nel 2010. C’è un racconto di questa raccolta, L’urlo, in cui Zardi riesce a esprimere un doppio disagio: quello vissuto dal protagonista (un marito, un padre) nei confronti dell’inaspettato tentativo di suicidio da parte della moglie (innescato da una depressione post partum), e quello tra l’individuo e la società, rappresentato nella fattispecie dalla disumanizzazione dei rapporti lavorativi. Tale doppio disagio trova soluzione nel richiamo ancestrale, nel puro istinto di conservazione della specie umana. L’istinto di conservazione è rappresentato dall’urlo del bambino, dal suo pianto disperato nel cuore della notte. Ciò innesca nel padre il momento epifanico, e gli permette di entrare in contatto con una verità e con l’essenza più pura e atavica della natura umana.
Ecco cosa gridava Luca: il dolore per il solo fatto di essere nato, per dover respirare quell’aria, per dover sopportare il peso del mondo che lo circondava. E allo stesso tempo, nonostante quel dolore, quel bambino gridava per dire a tutti che dentro alla sua carne rosa, tra quelle ossa, dentro alla pancia che faceva sempre male, in quella massa brulicante di cellule, dentro, c’era la sua vita: qualcosa di minuscolo al quale per nulla al mondo avrebbe rinunciato.
Il giorno che diventammo umani (2013) è una raccolta compatta e unitaria, che si sviluppa in maniera organica. La compattezza e l’unità si esprimono in uno stile narrativo ormai solido, raffinato e riconoscibile. L’organicità della raccolta, invece, si esprime attraverso la scelta di orchestrare i personaggi che, una volta protagonisti di un racconto, li si rincontra come comparse in un altro, in una sorta di gioco o di schema che sembra sottolineare che quella che si sta leggendo è l’espressione di una società, più che dei singoli individui.
Ma c’è anche un tema centrale che attraversa questa seconda raccolta dell’autore padovano. In molti racconti del Giorno che diventammo umani la vita dei personaggi è improvvisamente messa in crisi dalla comparsa di una malattia. La malattia, elemento che Zardi declina spesso come un tumore (forse la malattia più rappresentativa della nostra contemporaneità), è sempre descritta in maniera analitica, bilanciando l’aspetto psicologico e quello biologico che la caratterizzano.
Nel racconto La stella marina è un professore di zoologia a trovarsi di fronte al dramma. In seguito agli accertamenti causati da un lieve incidente (è stato investito da un uomo in bicicletta) il professore scopre di essere affetto da un glioma, un tumore cerebrale, che per la forma è paragonato a una stella marina. Nel dialogo con suo fratello, il professore descrive così ciò che sta vivendo:
Si sta espandendo in superficie – allunga le sue dita seguendo i canyon della corteccia, si fa spazio, silenziosamente. Inizio ad avere paura – una paura fottuta… non ho armi per combattere. Il nemico è il mio corpo. È una sensazione terribile. Quando sono a letto, disteso, mi sembra di poter sentire la stella marina dentro alla testa, dentro la mia testa. I confini del corpo sono una delle sensazioni più semplici da provare: chiudi gli occhi e inizi a esplorarti dall’interno: le mani, le braccia, i piedi là sotto, le loro dita, una a una, la pressione che esercitano sul pavimento… è impossibile confondersi, anche solo per un momento, con il resto del mondo: c’è un universo infinito, fuori da noi, e ci siamo solo noi, dentro a questo corpo. La pelle è la frontiera di noi stessi. La nostra coscienza di essere noi pervade ogni nostro centimetro cubico. Ma questa cosa, questo tumore, cos’è? Sono io? Io sono questo corpo, ma questo corpo non mi appartiene – io sono lui, ma lui non è me. Quando morirà, dovrò morire anch’io – e non importa quanto vivo mi sentirò. Il mio destino è legato in modo indissolubile al suo.
Qui Zardi esplora il meccanismo, mette in luce i tratti più oscuri, incomprensibili, disumani dell’evento. Nella speculazione filosofica, in questo caso, vengono mostrate le problematiche tecniche del dramma, problematiche che s’intensificano in una seconda speculazione, questa volta di natura biologica:
[…] da un po’ di tempo anche lui aveva iniziato a sospettare che dietro la varietà di specie animali e vegetali non ci fosse nulla. Le piante erano una curiosa escrescenza carbonica della crosta terrestre, i celenterati sacchetti di succhi gastrici con una bocca e un buco del culo; i pesci sembravano automi semoventi incapaci di intendere e volere, e le formiche cellule ottuse di un organismo molto più grande, e altrettanto ottuso.
Ma anche qui Zardi approfitta del passaggio epifanico per far emergere infine i sentimenti, intesi come l’espressione più autenticamente umana del personaggio. Prendendo in prestito il titolo della raccolta, il giorno in cui il personaggio diventa umano coincide con il momento in cui emergono i comportamenti puri, profondamente veri. E non è necessario che siano sentimenti o comportamenti positivi. In questo caso, per esempio, è un atteggiamento a esprimere l’istinto di sopravvivenza con tutta la sua forza: l’egoismo.
[…] sentì che non voleva morire: che sarebbe stato disposto ad accettare che tutte le piante e tutti gli animali sparsi per il mondo finissero di colpo, se questo gli avesse garantito un giorno di vita in più.
L’ultima raccolta di racconti di Paolo Zardi è uscita a marzo di quest’anno, sempre per Neo edizioni. S’intitola La gente non esiste e offre una visione ancora più ampia e strutturata della poetica zardiana. In particolare, nel suo essere una raccolta di scritti eterogenea, composta da testi inediti e da racconti già pubblicati in riviste o antologie, emergono degli aspetti che nelle precedenti raccolte erano rimasti esclusi. Mi riferisco all’elemento distopico (Il ventunesimo secolo, Vita), per esempio, o addirittura fantastico o strano (Botole, La cosa). A ogni modo, anche questa raccolta risulta ben compatta grazie allo stile e a una generale coerenza delle tematiche dei racconti. Anche qui, come nelle precedenti raccolte, Zardi indaga l’umanità che emerge dai rapporti familiari ed esplora i rapporti tra l’individuo e la contemporaneità.
Uno dei testi più interessanti, in questo senso, è Ombrelloni. Attraverso un punto di vista che ricorda un po’ quello di una macchina da presa che esplora prima dall’alto e poi dal basso una spiaggia del litorale adriatico, assistiamo all’esposizione di un microcosmo umano, e ci troviamo di fronte a una scena che, nella sua apparente banalità, sembra essere sterile dal punto di vista narrativo. Eppure anche qui Zardi riesce a trovare materiale per raccontare una storia, anche nel chiacchiericcio trova lo spazio per incastonare quella che, letta nel complesso della sua intera produzione letteraria, suona come una dichiarazione di poetica.
Le cose si trasformano, pensò, e nulla sembra rimanere uguale; eppure niente cambia davvero: le persone continuano a inseguire la felicità, a occhi chiusi, senza sapere bene cosa cercare, dove scavare, guidate solo da un istinto antico e disperato, e mai arreso.