A ogni appassionato di Virginia Woolf viene posta, prima o dopo, la domanda delle domande: da quale suo libro incominciare?

È una questione complicata che, mi verrebbe da dire, non può avere una sola risposta valida per tutti. Anzi, probabilmente una lettura ‘più adatta’ non esiste proprio perché, sebbene lei abbia un nucleo di interesse abbastanza riconoscibile, così come uno stile facilmente individuabile, le sue opere variano molto tra loro e averne letta una non significa aver compreso chi sia Virginia Woolf e nemmeno se questa scrittrice possa piacerti o meno. A essere sinceri però, quelle volte che mi sono sentito obbligato a dare una risposta ho sempre pescato dalla mia esperienza personale e quindi ho spesso consigliato il Diario di una scrittrice. Di solito cito questo titolo perché secondo me, racchiude il nucleo fondante del pensiero di Woolf e quindi della sua stessa opera. Capire questo testo porta ad approcciare il resto del suo lavoro con più accortezza. Bisogna però anche prendere nota e non dimenticare che partire da un diario è un po’ come barare. Quando noi leggiamo un romanzo di solito, non abbiamo prima letto i diari e i pensieri dell’autore ma solo la sua opera, e il nostro giudizio si forma esclusivamente su di essa.
Ecco allora che forse, un buon compromesso per avvicinarsi a Virginia potrebbero essere i racconti, che in Italia sono presenti in ben due raccolte complete: Oggetti solidi, edita da Racconti Edizioni e Lunedì o martedì, targata Bompiani.
In questo caso la raccolta completa dei racconti di Virginia Woolf potrebbe costituire una sorta di ‘diario parallelo’ in forma narrativa. Un accesso forse non perfetto, ma sicuramente piuttosto inclusivo e significativo (e sicuramente meno ‘impegnativo’) per quanto riguarda la poetica woolfiana.
La Woolf ha infatti scritto racconti per tutta la sua vita e sebbene il suo lavoro di scrittrice fosse legato soprattutto ai romanzi e all’idea di riuscire, in qualche modo a rinnovarne la forma, i racconti rappresentano un continuum della sua carriera che può accompagnare un lettore attraverso le sue varie fasi artistiche e di vita.
Ho pensato all’insieme dei racconti come a un diario parallelo, perché proprio come un diario le sue short stories, in entrambi i volumi proposte seguendo un ordine cronologico, si snodano per forza di cose lungo la sua esistenza. Ecco quindi che possiamo incontrare una Virginia ancora agli inizi, poco più che ventenne, quando con Phyllis e Rosamond scrive una storia che sa proprio della giovinezza dell’autrice, della sua condizione passata e futura, possibile e auspicabile. Ci troviamo dinanzi a delle giovani donne costrette in un certo tipo di realtà sociale che si ‘incontrano’ con realtà differenti, dalle aspirazioni diverse. Donne che dicono: “Non abbiamo una stanza nostra” e anche “Siamo figlie, finché non diventiamo mogli.” Un seme quindi, di tematiche che le diventeranno care, ma che allo stesso tempo possono tratteggiare la giovane Virginia che ormai ‘libera’ dal padre vittoriano, deve scegliere come vuole vivere davvero.
C’è poi la storia che segna il debutto della casa editrice da lei fondata col marito Leonard, la Hogarth Press, che nel 1917 pubblica il suo primo titolo, Two Stories, così chiamato perché conteneva un racconto di lui e uno di lei, ovvero Il segno sul muro, dove si parte da un vero e concreto segno sul muro per finire immersi nei pensieri del protagonista. Ma anche un paio di storielle inaspettate, fiabesche, come La vedova e il pappagallo, una fiaba sì moraleggiante ma allo stesso tempo irriverente, che prende in giro il vittorianesimo, e che Woolf aveva scritto per il giornalino casalingo dei suoi nipoti. E Le tendine di Tata Lugton, dove le figure cucite sulla stoffa si animano, prendendo vita. O Casa stregata, che pare essere nata proprio in riferimento a una casa abitata dai coniugi Woolf. E ancora, tutta una serie di racconti che arrivano come predecessori, o contorni, dei romanzi più famosi, su tutti La signora Dalloway in Bond Street, col suo “La signora Dalloway disse che i guanti li avrebbe comprati lei.” Ma ci sono anche i progetti mancati, come una raccolta di storie che ruotavano attorno al tema della festa, oppure dei ritratti immaginari, abbozzo di un progetto che venne rifiutato, non senza provocare dello sdegno da parte di Virginia, e che possiamo ‘immaginare’ leggendo, per esempio, Ricordi di una scrittrice.
C’è, tra le pagine di queste storie la vita stessa di Virginia, quella vissuta, che non viene davvero palesata ma che indubbiamente è lì, e scorre dietro le parole che leggiamo.
E c’è, senza dubbio, la possibilità di conoscere la scrittura di Woolf, il suo stile, la sua evoluzione in maniera piuttosto ‘pura’. Per Virginia, infatti, i racconti “erano i piaceri che mi concedevo dopo essermi debitamente esercitata nello stile convenzionale. Non scorderò mai il giorno in cui scrissi Il segno sul muro – lo feci tutto di slancio, quasi stessi volando dopo essere stata costretta a spaccar pietre per mesi.” E proprio questo tipo di libertà, questa scrittura non strettamente volta alla pubblicazione, conteneva probabilmente l’essenza dell’immaginario e dell’idea di scrittura dell’autrice. In purezza, appunto, perché svincolata da un vero fine.
Ci si immerge, quindi, in storie tradizionali che via via lasciano il posto al flusso di coscienza, a focus su dei personaggi, ad arazzi che dipingono non tanto le azioni, ma i pensieri, le sensazioni. Racconti che fanno sparire la trama e che, proprio per questo fanno parte di quei lavori che hanno reso celebre l’autrice ma che allo stesso tempo hanno contribuito ad etichettarla come ‘difficile’. Ma forse si tratta solo di un modo diverso di vedere le cose.
In una lettera all’amica Ethel Smyth, nell’agosto del 1930, Virginia spiega:
Penso che la difficoltà sia che scrivo seguendo un ritmo e non una trama. […] E così, sebbene l’elemento ritmico mi sia più naturale che non quello narrativo, questo è completamente in antitesi con la tradizione della narrativa e tutto il tempo sono alla ricerca di qualche corda da gettare al lettore.
E come scrive anche nel saggio dedicato alla narrativa moderna, a lei interessava “esaminare una mente qualsiasi in un giorno qualsiasi” e quindi della trama non c’è bisogno.
Ricevere una miriade di impressioni – banali, fantastiche, evanescenti o incise con l’acutezza di una punta d’acciaio, che piovono da ogni parte, come un diluvio incessante di atomi; e mentre cadono, mentre assumono la forma di vita del lunedì o martedì, l’accento si posa in modo sempre differente; il momento essenziale non si è verificato qui, ma lì.
È proprio questo che succede nei momenti più grandi delle prose woolfiane: si entra nelle menti, nei pensieri delle persone. Come per esempio in quel dipinto (non saprei come altro definirlo) che è Kew Gardens. Immaginatelo: un bel giardino, verde, vivo, e mentre guardate l’insieme, la natura, ecco scorgere una coppia che bisbiglia di scene passate, ed ecco, là!, sotto la foglia! Una chiocciola che arranca mentre un giovane e un vecchio le passano accanto, immersi in un discorso di guerra, e così via.
Mi concedo gli ultimi due cents su Lappin e Lapinova, forse il mio preferito, poco conosciuto fuori dalle cerchie woolfiane e che però, sono sicuro, saprebbe conquistare molti. Una storia di un matrimonio che vede in due nomignoli la cartina tornasole di una vita insieme. Due nomignoli che fanno sorridere all’inizio, ma che poi si trasformano in tristezza. Perché la capacità di Virginia è questa: un particolare che si mette a spiegare il mondo.
Allora, lettore che mi chiedi da dove partire per conoscere quest’autrice, ecco la mia risposta: parti dai diari. Hai due scelte. Il diario vero e proprio, oppure una forma narrativa che, in un solo volume, ti fa attraversare l’intera vita della scrittrice e tutte le sue sfaccettature: i racconti.
Bellissimo articolo! Da grande appassionata di Virginia, tant’è che ho scritto la mia tesi su di lei, non posso che complimentarmi per quello che hai scritto. Sono in pochissimi ad aver letto i suoi racconti, e ancor meno a conoscerne l’esistenza… ma per come ne hai parlato, sono sicura che qualcuno avrà la curiosità di scoprirli 😉
Ancora complimenti!
Giada
P.S: Penso che ti sia sfuggita qualche parola qui! (forse volevi dire: “l’hanno etichettata?”:
“fanno parte di quei lavori che hanno reso celebre l’autrice ma che allo stesso tempo etichettata come ‘difficile’