Tag: racconto

Primo Levi e il mondo invisibile

Primo Levi scrive come se mettesse la realtà su un vetrino da microscopio, per poi osservarla man mano a ingrandimenti superiori. Nel frattempo, durante l’osservazione, compone un brogliaccio, un quaderno di laboratorio in cui registra dati ed eventuali singolarità. Il brogliaccio, per lo scrittore torinese, è la memoria.

Read more

Flannery O’Connor, il racconto compreso tra grazia divina e libertà umana

Ho letto per la prima volta di Flannery O’Connor circa tre anni fa, nonostante avessi in casa una sua raccolta di scritti e racconti acquistata almeno quindici anni prima. La raccolta porta il nome di uno dei suoi racconti più famosi, La schiena di Parker, e per qualche strana ragione mi ero convinta che quel racconto – come del resto tutto il libro - parlasse di [...]

Read more

Un cenone molto particolare

Photo by La Repubblica.it

Sono le 21:30 del 31 dicembre. Intorno al grande tavolo del salotto di casa Di Biase i nove redattori di Tre racconti stanno discutendo delle cose già fatte, di quelle da fare e di quelle che devono ancora spuntare fuori. Le ultime settimane sono state pesanti. In ballo c’è il primo numero della rivista e qualcuno comincia ad avvertire la stanchezza. Tra un boccone e l’altro si fa il punto sulla copertina, sul piano editoriale e sulle letture per il prossimo anno.

Incredibilmente ci sono tutti. Ci sono Andrea Siviero e Davide Bovati, scesi dalle pianure nebbiose del Veneto e della Brianza, il Boschi dalla piovosa Liguria, le due toscane Paola e Linda, Simone dai castelli romani, Gaia dalla Capitale e persino Eleonora, atterrata due ore prima all’aeroporto di Capodichino, carica di esperienze e aneddoti dalla fredda e umida Dublino.

Maria è in piedi a capotavola. Davanti a sé non ha una lista di cose da fare ma una gigantesca insalatiera piena di fumanti spaghetti alle vongole. «Ragazzi, prima che questa cena sfugga di mano volevo dirvi che… vabbuò, come non detto, Simone vieni a fare le porzioni che qui mi scivola tutto. Diamoci anche una regolata perché in cucina c’è una montagna di pesce ancora da preparare. Come se fosse caduto dal cielo». In quel preciso momento, avvicinandosi al tavolo, Simone cambia espressione. «Praticamente è come la poesia di Carver…». Otto teste e sedici occhi si fissano su di lui. Silenzio. «Che c’è? È perché ho detto poesia? Mica adesso leggiamo solo racconti, no? Be’ in questa poesia Carver racconta che durante un’escursione in montagna con i suoi amici un’aquila perse il merluzzo che aveva appena catturato facendolo cadere con un gran tonfo proprio ai loro piedi. Come ha detto Maria, sembrò proprio “caduto dal cielo”. Ovviamente per Carver e compagnia non fu un problema. Presero il pesce e se lo mangiarono la sera stessa. Fosse stato per me avrei aggiunto solo un bel vino dei Castelli. Sarebbe piaciuto anche a Carver, che non era proprio un raffinatone in fatto di alcol».

Mentre i piatti passano di mano in mano sulla tavola, Linda alza il sopracciglio e ridacchiando ribatte. «Io invece a proposito di abbinamenti tra scrittori e vini avrei in mente una bella scenetta. Bellina, bellina. Sapete tutti della famosa rivalità Pisa-Livorno vero? Noi toscani non ne abbiamo mai abbastanza, siamo capacissimi di picchiarci in spiaggia ricordando battaglie avvenute secoli fa! Insomma, se per esempio avessi il pisano Antonio Tabucchi seduto con noi a tavola lo costringerei a mangiare il nostro bel cacciucco alla livornese innaffiandolo con un bel Bolgheri rosso. Come vogliono i puristi Livornesi! Boia deh, col cacciucco ci vòle il rosso, miha un bianco pisano qualsiasi!».

Silenzio. Di nuovo. Le mandibole lavorano. Eleonora dall’altro capo della tavola elenca i piatti in menù: «Pasta alle vongole, una spigola, il cacciucco alla livornese. Poi c’è l’insalata russa, un panettone, e il dolce che ho portato io. Ah, abbiamo anche un capitone vero?».

Andrea Siviero sta osservando l’albero di Natale. Mille lucine brillano a intermittenza proiettando lame dorate sulle decorazioni di cristallo. Il soffitto si riempie di riflessi colorati. Una danza di saette verdi, rosse e blu sopra otto teste ignare. Così dovevano apparire gli studi di Newton e quelli di William Herschel e Joseph von Fraunhofer mentre facevano i primi esperimenti con i prismi. Oh, se solo si potesse descrivere un linguaggio nuovo quell’arcobaleno segreto di luci! Che poi non serve neanche essere un poeta. Scienziati, scrittori. Dov’è la differenza? Non è forse sempre un lavoro dell’immaginazione in cui si dà corpo a un sogno di libertà e bellezza?

«Sì, l’anguilla l’ho portata io», dice Andrea girandosi improvvisamente verso Eleonora. «Tra l’altro adesso vi svelo perché. Inizialmente non sapevo come contribuire a questo cenone, ma poi mi sono ricordato di un racconto di Ricardo Piglia che si intitola Un pesce nel ghiaccio. È una specie di viaggio tra le pagine del diario di Pavese, Il mestiere di vivere, da cui è tratto il titolo, e i luoghi pavesiani in Piemonte. Poi, pensando a questo intreccio tra uno scrittore argentino e un mio conterraneo, mi è venuto in mente che a Napoli l’anguilla è il capitone. E quindi, eccolo qua!».

L’altro Andrea, Boschi, è un po’ sulle spine. Nascondendo il viso sotto una “cofana” di capelli spia nei piatti in cerca di qualcosa. «Ma tu non mangi gli spaghetti?», gli chiede Linda combattendo con un filo di pasta sfuggito alla forchetta. «Sì, ma credo che toglierò le vongole. Non è che proprio ne vada pazzo». Simone, che è seduto di fronte, ha sentito lo scambio. «Ma quel pacco sul divano è tuo, Andrea?». «Ecco dov’era! Ragazzi vi devo fare una confessione». Di nuovo otto paia di occhi si puntano su di lui. «Io in realtà sono vegetariano». Sedici sopracciglia si alzano. «Non sarai mica vegano?», domanda Paola perplessa. «No, ma sono parecchi mesi che ho rinunciato, anche se quei cibi mi piacciono un sacco. Per questo avevo portato una cosa. Nel pacchetto che ho lasciato sul divano c’è la farinata di grano col pesto. Volevo farvela assaggiare…».

Simone interessatissimo si alza subito dalla sedia, recupera il fagotto e lo mette al centro della tavola. «Non ne avevo mai sentito parlare, che roba è? ». Andrea si siede «innanzitutto è una cosa buonissima e poi è solo savonese. A questa cosa ci tengo perché non la sa nessuno. Sono tutti convinti che sia un piatto genericamente ligure, ma in realtà no. E quei buzzurri dei genovesi manco lo sanno! Prendete… c’è da sviluppare una dipendenza di quelle brutte per quanto è buona. Roba alla Irvine Welsh, non so se rendo l’idea. Lui, che di dipendenze se ne intendeva si sarebbe venduto l’anima al diavolo per una sola forchettata!».

Toc, toc. TOC. SBAAAM!
Paola guarda le due sedie vuote accanto a lei. Due minuti prima erano occupate. «Ma dove sono finite Linda ed Eleonora? E che cos’è ‘sto rumore?», chiede voltandosi in ogni direzione.
Simone: «In cucina, stanno cercando di disincrostare il pesce dal sale, ma pare serva un piccone. Sarà un lavoro per scienziate. Che dite un ingegnere e un fisico basteranno? Forse dovresti andare anche tu Andrea. Un chimico potrebbe agevolare l’operazione».
Siviero: «Posso pure andare ma il pesce sarà fresco?».
Davide, scherzandoci su: «Appena tirato fuori dal ghiaccio Siv!».
Gaia: «Fresco: pescato da poco, sano, in forma, fiorente, arzillo, vigoroso, vivace, pimpante…».
Maria: «Fermatela vi prego!».
Davide: «Non è che sei già ubriaca Gaia?».

Paola: «Ma se è quasi astemia! Non ti ricordi che quando ha intervistato O’Ceallaigh era l’unica con l’acqua sul tavolino mentre lui e tutti gli altri bevevano vino? E l’acqua non era neanche gasata ma naturale! Oh, a proposito… a voi v’ho portato il vin santo e du’ ricciarelli al cioccolato. Senza scarafaggi dentro, però! …Ché? Non vi ricordate di quando vi raccontai che Cortázar in un suo racconto, Circe, obbliga il povero Mario a mangiare un dolcetto al marzapane preparato da Delia con uno scarafaggio dentro?».

Andrea Siviero è assorto nei suoi pensieri. Secondo me non è mica tanto fresco ‘sto pesce qui. E poi mi manca la polenta. Forse se mi propongo come cuoco Davide mi segue… aveva parlato del Toc, quella cosa micidiale a base di burro, formaggio e che altro ancora? Bah, no, stavolta sto zitto. E però un vin brulé mica ci starebbe male. Il guaio è che non c’è il camino. Non c’è la nebbia. No, non si intonerebbe alla situazione. Sto, dai, sembra brutto.

«Siviero guarda che ti ho sentito». Maria sbuca dietro la sedia di Andrea che non si era reso conto di aver parlato a voce alta. «Questa è una cosa che non avresti detto se fossi stato uno dei personaggi di McEwan. Lui ragiona proprio in questo modo, distingue sempre tra vittima e carnefice. Prendi Cortesie per gli ospiti, per esempio, considerato da tutti il libro più inquietante che ha scritto. L’hai letto, sì? Oppure hai visto il film, quello con Christopher Walken? Comunque, brevemente: c’è una coppia, Mary e Colin, e c’è una coppia, Robert e Caroline. I primi due incontrano il terzo, bellissimo, elegantissimo, e tra un bicchiere di vino e l’altro, Robert racconta un po’ della sua vita, e quindi anche di Caroline. Il giorno dopo s’incontrano a piazza San Marco. Sì, non l’ho detto, siamo a Venezia. S’incontrano, e Robert invita Mary e Colin a casa, a conoscere Caroline. La mattina dopo, senza sapere come e perché, Colin e Mary si svegliano in una camera da letto e sono nudi. Succedono un po’ di cose, Colin e Mary si accorgono che Caroline ha subito degli abusi dal marito, Robert tira un pugno nello stomaco a Colin, Colin che però si sente di nuovo attratto da sua moglie Mary, come non gli capitava da tempo, in un modo un po’ strano e abbastanza perverso. Sai com’è, no? Insomma, il punto, il punto vero, di tutta la questione, è: “Mai far arrabbiare il padrone di casa”».

Gaia non ascolta, guarda dritto davanti a sé. Punta gli occhi sullo scaffale della libreria che le sta di fronte. Appena sfiorato dalle fronde pungenti dell’albero di Natale, spunta il tomo enorme de I Fratelli Karamazov. Si distingue benissimo in mezzo agli altri libri più piccoli. Si sa che a Maria piacciono le storie brevi e quel volumone tra i volumini è un po’ come un leone in mezzo a un branco di gattini. Dostoevskij, però, è vicino a Dubus. Una doppietta niente male davvero. Gaia avrebbe proprio voglia di leggere un bel romanzo russo, forse recupererà Il maestro e Margherita. Lo ha cominciato tre volte ma stranamente non lo ha mai finito. Il fatto è che lì dentro, nei russi, c’è tutto. Nei Karamazov c’è l’uomo, il diavolo, l’amore, la povertà, la società, c’è Dio e la morte di Dio e a pensarci bene ci sono anche un sacco di zuppe di pesce. A questo punto vorrebbe proprio dire qualcosa di intelligente ma la fame ha il sopravvento e dalla bocca esce solo una domanda: «Dov’è l’insalata russa? Non l’avevo posata sul tavolo prima?».

«Ma perché “russa”, deh, mica dorme? Che origini ha?», chiede Linda. «Non ne sono sicura, ma penso fosse un piatto di un famoso chef francese che lavorava in alcuni famosi ristoranti di Mosca. Da lì, non so come, pare si sia diffuso in Liguria per poi entrare come piatto tipico della vigilia di Natale sulle tavole campane. Io so solo che ne vado pazza! È un miscuglio di verdure lesse tagliate a cubetti e condite con abbondante maionese. La può mangiare anche Boschi. Ah no! Dentro c’è anche il tonno. Sorry Andrea». Andrea alza le spalle. Il suo piatto è vuoto. Andato il primo, il secondo, il primo contorno e anche quello dopo. La pancia è già piena.

Eleonora intanto mette al centro il dolce, fa nove porzioni tutte uguali e spiega. «Se vi state chiedendo cosa sia è un Christmas Pudding! È un dolce tipico della tradizione irlandese e ovviamente non l’ho fatto io ma la mia padrona di casa perché bisogna farlo cuocere sei ore e prepararlo 48 ore prima! Non esattamente alla mia portata». «Ma che c’è dentro?», chiede Simone alzando la forchetta. «Fai prima a chiedermi cosa non c’è, ma quello che conta è che è buono. Ora che ci penso, viene anche mangiato dai commensali nel racconto I Morti di Joyce, solo che lì i personaggi non bevevano vino ma birra. Uh, manca la salsa al brandy per accompagnarlo, vado a prenderla in cucina. Vi pare che gli irlandesi possano rinunciare all’alcol in una portata?». «Be’ – risponde Simone – io sul brandy non ho mai obiezioni».

Mentre Eleonora passa a tutti le coppette con il Pudding, Davide comincia a tagliare il panettone a fette mormorando tra sé «mmm, il panettone non bastò? Bastò eccome, invece!». Sentendosi osservato, alza lo sguardo e vede Maria che lo scruta dietro il cestino della frutta secca: «Cosa dici Da’ ?». «Uhm, niente pensavo solo a Buzzati. Lui scrisse il racconto Il panettone non bastò, e penso che qui è esattamente l’opposto. Abbiamo mangiato troppo e su questa tavola c’è ancora cibo a sufficienza per un…».  Troppo tardi, la sua voce è superata da quella di Boschi e Simone, che sentendo già l’effetto del brandy, si alzano da tavola e trascinano Linda verso il centro del salotto cantando a squarciagola Sunshine on Leith, in onore di Irvine Welsh.

My heart was broken, my heart was broken

Sorrow Sorrow Sorrow Sorrow

My heart was broken, my heart was broken

You saw it,

You claimed it

You touched it,

You saved it

My tears are drying, my tears are drying

Thank you Thank you Thank you Thank you

My tears are drying, my tears are drying

Davide li guarda. Ha ancora il panettone in mano. Forse vorrebbe essere altrove, proprio come il suo adorato Buzzati che era obbligato dai parenti a stare in famiglia quando avrebbe preferito scappare a Cortina con la sua giovanissima moglie. Ma forse, dopotutto, a lui piaceva stare al caldo con zie, e amici. Magari proprio con una fetta di panettone in mano. «Eleonora, di’ la verità. Preferivi una canzone degli U2?». «Eh eh eh forse sì, ma di quelle vecchie. Dopo gli anni ’80 non c’è più niente di vero in Bono! ».

La TV trasmette la solita diretta dalle piazze italiane. Una gigantografia di John Lennon e Gandhi fa da sfondo ad una nutrita fila di starlette strizzate in costumi da bagno tempestati di paillettes e cantanti degli anni ’70 con triplo strato di cerone sul viso. Vecchi e giovani con niente in comune tranne che una dentiera finta scandiscono il conto alla rovescia. Manca un minuto e mezzo alla mezzanotte.

Andrea Siviero: «Questa sì che è una scena veramente postmoderna…».
Davide: «Intendi in TV? Ma stai pensando più al Sudamerica o a Wallace?».
Andrea Siviero: «Mmm, è decadenza comunque».
Boschi: «È tutto un po’… tutto a cazzo».
Maria: «Ecco, questa cosa l’ho sempre pensata. Ma secondo voi…».
Simone: «Certo che quel costume è veramente…».
Davide: «Già».
Maria: «Ehm.., il postmoder…».
Boschi: «…ridottissimo. Praticamente illegale. Céline ci avrebbe pianto su quelle gambe».

Gaia guarda i ragazzi che guardano la TV. Sta pensando a dove sta andando tutta l’insalata russa che si è mangiata. Sta anche pensando che certe cose non cambieranno mai. È la vita. Sono maschi. E lei è una lei. Maria, invece, ha rinunciato a fare discorsi seri e soprattutto a capire se il postmodernismo esista o meno, se è una corrente o un movimento, americano, sudamericano o universale. Sbuffando comincia a pensare a come riordinare. In un raptus organizzativo compulsivo afferra il carrello, lo carica all’inverosimile e imbocca decisa il corridoio circondata da un micidiale sferragliare di posate e vassoi traballanti. «Okkei ragazzi chi li porta i piatti? Magari ci dividiamo i compiti, tipo catena di montaggio. Ragazziiii…!!?» Quand’è già davanti alla lavastoviglie, Maria si volta e nota che nessuno l’ha seguita. Esce dalla cucina e rientra in sala da pranzo. Il tavolo è ancora incredibilmente ingombro di cose. Il piatto di Davide brilla come fosse d’argento. Non c’è nessuno. La casa sembra deserta. Qualcuno ha tolto il volume della TV.

«Accidenti! Mannaggia a me e quando mi lancio in queste cose. Me lo dice sempre Lui…».
Improvvisamente dal balcone arriva un urlo.
«Maria. Maria! MARIAAAAA!». Paola si precipita dentro.
«EH, ah ma siete qui. Che c’è!?»
«Ma che facevi di là? Sognavi a occhi aperti?».
«Ma io veramente stavo…»
«Maria i fuochi! Muoviti che te li perdi!»
«Arrivo… mi è preso un colpo! È che per un attimo ho pensato ve ne foste andati tutti».
Davide: «Dai Maria che stappiamo lo spumante. I bicchieri li abbiamo già presi».
«Ma come sapevi dove prenderli?».
«Boh, non lo so ma li ho trovati lo stesso».
«…»

Cinque, quattro, tre, due, unooooo AUGURIIIIIII. Buon 2017!! …♪♫ …Brigitte Bardot, Bardot…♫♪ … da qualche parte, è partito un trenino. Il grande classico di capodanno!

Davide stappa lo spumante. Il tappo schizza in alto, sbatte sul soffitto, rimbalza sulla fronte di Simone poi sulla ringhiera del balcone e rotola giù in strada finendo la sua corsa sotto una macchina. Perso per sempre, addio cimelio del primo anno. I redattori alzano i calici e brindano allegramente. Cominciano i fuochi d’artificio.

Siviero con il cellulare in mano: «Mmm non viene niente. Sto cercando di fare una foto, ma non viene niente.»
Davide: «Seeeee, faccio prima a disegnarli io! Però non dirlo a Maria che poi me lo fa fare veramente… lo sai com’è fatta. Idea uguale fuoco alle polveri».
Simone: «Sinceramente io mi accontento di guardarli. Guarda come brillano».
Siviero: «Ma sì dai. Godiamoceli per bene. Niente filtri».
Linda: «Insomma sto panettone mi tocca finirlo da sola… Deh, ’un si po’ mica buttare nulla
Boschi: «Smezziamo?».
Linda guarda il cielo: «Uh, bellini i fohi».

In un angolo.

Paola: «Chissà dove saremo il prossimo anno. Tu che dici Eleonora?»
Eleonora: «Non ne ho la più pallida idea. So solo che ho fatto una fatica bestiale a starvi dietro, ma oggi sono proprio contenta di stare qui».

In un altro angolo.

Gaia: «E pensare che io ci sono nata ma a volte la odio questa città…”
Maria: «Eh, la napoletana de Roma”.
«…però i fuochi li ho sempre amati. E come li facciamo noi non li fa nessuno”.
«Come quando noi parliamo di racconti”.
«Quelli sono botti. È che siamo passionali. Ribolliamo e poi esplodiamo. Saltano i tappi. Come il Vesuvio. Tu poi…».
«Io cosa?!?».
“Niente, niente…».
«Parla e non fare le facce, Mutone!»
«mmm»
«…»
«…»
«Sì, sono proprio belli i fuochi”.
«Buon anno Capa».
«Buon anno anche a te… Abbraccio collettivo?”
«Ora non esageriamo”.

«…» [sorridendo]

«…» [sorridendo]

THE END

(but the best is yet to come)