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Acid house di Irvine Welsh

Parlare di Irvine Welsh, per me, è come parlare dei miei gruppi musicali preferiti, che so non essere i migliori al mondo, e che forse non ho nemmeno più tanta voglia o interesse ad ascoltare, ma che sono, in ogni caso e senza la minima esitazione, in cima alla mia lista personale.

Welsh è tra i miei preferiti perché ho amato Trainspotting, così come buonissima parte della sua produzione, un titolo su tutti Colla. Mi ha reso, al pari di pochi altri, un lettore totalmente appagato, ed è l’unico, assieme ad un paio d’altri autori, di cui ho riletto i libri. Sicuramente l’unico ad aver riletto tre volte.

Ma soprattutto, è tra i miei preferiti perché ha rappresentato uno di quei tre o quattro momenti di rottura nella mia vita di lettore, uno di quei momenti in cui capisci che dal quel determinato libro in poi le tue aspettative cambieranno e sarai condannato a pretendere qualcosa dalla letteratura, non per forza qualitativamente più alto, e nemmeno più originale, perché non è questione di avere di più, ma è soltanto che sei consapevole che farai sempre più fatica a raggiungere una certa pienezza emotiva.

Foto tratta da Unsplash

Al di là delle tematiche e dei personaggi caratterizzati in modo da restarti in testa, quello che mi ha colpito e trascinato immediatamente è stato il suo stile. Ancora una volta il come, prima del cosa. Una sua particolarità è quella di scrivere le parole così come si pronunciano, dando quindi uno specifico suono all’intera frase. C’è ovviamente lo slang scozzese e il fatto che i personaggi utilizzano termini differenti a seconda che siano inglesi oppure scozzesi, di Edimburgo o di Glasgow.

Questa scelta, come spiegato dallo stesso Welsh ad un incontro a cui ho assistito, ha anche una valenza sociale e politica, perché serve a dare il senso di unità di un determinato gruppo di persone nate e cresciute in un preciso punto del mondo. Ogni forma di dialetto o parlata è un modo di riconoscersi, di sentire l’appartenenza a qualcosa, tanto che, coloro che sono al centro delle storie, percepiscono qualsiasi altra forma differente dal loro scozzese, come una versione sporca di scozzese, l’ennesimo dialetto minore.

La stessa percezione è riservata all’inglese standard che, per la gente di Leith e dintorni, è soltanto un inglese fra tanti. Attraverso le differenze linguistiche Welsh crea spesso momenti di rivalità e tensione, talvolta scherzose, tra i personaggi. Allo scozzese che si trova al di fuori dei confini del Regno Unito, dove chi lo ascolta non sempre è in grado di coglierne la nazionalità confondendolo il più delle volte per un abitante di una qualche zona dell’Inghilterra, viene inevitabilmente da riflettere sulla propria identità e sul sensazione di inferiorità nei confronti degli inglesi:

Sentii un moto di rabbia crescermi dentro. Mi venne quasi la tentazione di fargli un pistolotto sul fatto che ero scozzese, non inglese, e che la Scozia era l’ultima colonia oppressa dell’Impero britannico. Il fatto è che non ci credo: sono gli scozzesi a opprimere se stessi con la loro ossessione degli inglesi, nutrendo la mala pianta dell’odio, della paura, del servilismo, del disprezzo e della sottomissione[1].

Irvine Welsh è nato nel 1958 proprio a Leith, quartiere difficile di Edimburgo, che è stato sfondo e fonte inesauribile di spunti per tantissime delle sue storie migliori. In questo teatro di adolescenze tristi e frustrate, dove non c’è troppo spazio per illudersi e aspirare ad un futuro migliore, calcio, droghe e rave (l’acid house è anche un tipo di musica elettronica) rappresentano le uniche evasioni.

Il calcio, e la scelta della squadra soprattutto, è un altro modo fondamentale per costruirsi un’identità anche politica. Ci sono gli Hibs, soprannome con cui i tifosi chiamano l’Hibernian, la squadra cattolica e repubblicana della città, fondata da irlandesi e con lo stadio di casa proprio a Leith; e ci sono gli accesi derby cittadini contro gli unionisti e protestanti degli Heart of Midlothian, unici momenti esaltanti di stagioni sempre sottotono. Troppo grande è il divario con le due squadre di Glasgow per competere alla vittoria del campionato. Nemmeno l’arrivo di George Best ridà speranze ai tifosi, perché quello che corricchia sul campo di Easter Road è solo il fantasma invecchiato e imbolsito della gloria che fu.

È soprattutto nei suoi primi riuscitissimi romanzi, e in Acid House, sua prima raccolta di racconti, che ci mostra la sua capacità di rendere fitto il tessuto della sua narrazione partendo da piccole storie di quartiere in grado però di restituirci un quadro più ampio della situazione politica, sociale e culturale dell’intera Gran Bretagna dell’epoca, più che della sola Scozia.

Prima ancora di sfociare in prequel e sequel vari dedicati a specifici protagonisti, o in ambientazioni poco credibili per la sua penna (ad esempio la Miami di Crime), Welsh ha cresciuto i suoi personaggi nell’arco di anni, più attraverso la coralità delle voci di un determinato ambiente, disseminando luoghi, personaggi, e ricollegandone le vicende anche in libri o racconti apparentemente slegati tra loro, che non servendosi di uno stile tendente al biografico.

Acid House è il suo secondo libro, uscito nel 1994 ad un anno di distanza da Trainspotting. Contiene ventuno racconti che non si discostano molto dalle tematiche del suo esordio, e ci offre un insieme di storie, sì indipendenti l’una dall’altra, ma con alcuni fattori che ritroviamo più o meno sempre: disagio sociale, dipendenze da sostanze e anche una certa inettitudine nei confronti del mondo che sta al di fuori di certe zone di Edimburgo.

La sua città natale non è infatti l’unico luogo in cui sono ambientati i racconti. Welsh è stato cittadino d’Europa in fuga da una Scozia difficile e povera di opportunità, e ha vissuto sul proprio corpo il passaggio dal punk alla sottocultura dei rave e quello dall’eroina alle droghe sintetiche, trovandosi nel posto giusto al momento giusto per vivere queste esperienze.

Credit: Photo by Linda Xu on Unsplash

Durante il suo girovagare giovanile ha vissuto infatti in tre dei massimi avamposti del divertimento e degrado europeo di quel periodo: Edimburgo, Londra e Amsterdam.
Se però sei un tossico senza soldi, ti serve a poco scappare dalla tua città, perché il senso di disagio non ti abbandona. Ecco Euan, da poco arrivato ad Amsterdam, protagonista di Eurotrash, uno dei racconti migliori a mio parere:

Potevamo trovarci in qualsiasi parte del mondo. È il centro della città che ti da il senso di dove sei. Lì dove stavo, non c’era differenza tra Wester Hailes o Kingsmead, i posti da dove, venendo qui, ero voluto scappare. Solo che non ero scappato per niente. Un bidone di rifiuti per i poveri sarà sempre uguale dappertutto, a prescindere dalla città che lo fornisce.[2]

La forma breve è stata da sempre nelle sue corde dato che anche il suo esordio bomba Trainspotting ha preso vita dall’unione e mescolanza di alcuni racconti che Welsh aveva precedentemente pubblicato su una rivista. Una volta intrapresa la strada della scrittura, passione intuita mentre provava a scrivere testi musicali, è diventato con il tempo un autore disciplinato e metodico:

Mi sveglio sempre molto presto, perché penso che l’alba sia un momento della giornata molto prezioso. Scrivo dalle 6 alle 9, e non mi fermo. Faccio colazione. Mangio molto, e bevo ancora di più, quindi devo andare in palestra. Il pomeriggio rivedo quello che ho scritto, faccio le correzioni, non sono uno che riscrive da capo tutto, modifico qua e là. Poi la sera me la prendo sempre libera. Vado spesso al cinema, da solo.[3]

L’alcolismo è la piaga sociale base nel mondo di Welsh, il minimo sindacale dell’autodistruzione.
In quegli anni di grande disoccupazione e sussidi statali, il posto di lavoro, per quei pochi che ce l’hanno, rappresenta solo l’ennesima scommessa da perdere, assieme a legami e famiglia.
Siamo ai piani bassi dell’umanità, dove le persone stanno a malapena a galla, e non con la forza di volontà, ma gonfiandosi di alcol e droghe, accatastando sesso schifoso e deludente e una sempre più insopportabile quantità di fallimenti. Se ci sono diversi modi di perdersi, e perdere chi ti sta accanto, i personaggi di Welsh lo fanno nei modi peggiori possibili, sfinendosi vicendevolmente a colpi di umiliazioni e atteggiamenti al limite della perfidia:

Lessi quella donna come una sozza carta geografica di tutti i posti dove non vuoi andare: dipendenza da sostanze varie, esaurimento psichico, ossessione da droga, sfruttamento sessuale. In Chrissie vidi una persona che si era trovata in guerra con se stessa e con il mondo e aveva cercato una vita migliore scopando e drogandosi senza capire che così scendeva solo a compromessi con i suoi problemi.[4]

Ogni tipo di sostanza è, a seconda dei casi, medicina per uno stato d’animo pessimo, o antidoto ai cattivi effetti di qualche altra droga. Droga scaccia droga. Fumare erba e bere ti aiuta a superare quel fatidico primo mese di inizio disintossicazione; l’ecstasy serve a ballare, rimorchiare, e magari eccitarsi, perché sotto eroina tutto si spegne, e il diradarsi del torpore che ti isola dal mondo è forse il momento peggiore nella giornata di un tossico. Unico scopo, la prossima dose. Non ci sono famiglie o amicizie che possano competere per importanza.

Oltre a raccontare una realtà cruda e dove la volgarità è a tratti strabordante, anche se mai gratuita in quanto coerente con lo stile parlato delle zone degradate della città, Welsh sfrutta anche fisicamente lo spazio della pagina per comporre scene surreali attraverso scritte inserite in rettangoli, o disordinate e sconnesse lungo tutto il foglio, per restituire il senso di spaesamento e disconnessione dalla realtà.

In questo modo la lettura della trama è frammentata dalle continue divagazioni dei protagonisti, come accade nell’ultimo racconto, Acid House. Seguiamo qui il lungo trip di Coco Bryce, proprio come fossimo nella sua testa, durante il quale cerca disperatamente di tenere la propria mente e il proprio corpo nel mondo, appena dopo essersi calato un acido che si rivelerà più potente del previsto. Un episodio completamente surreale e a tratti divertentissimo, oltre che una delle storie più tenere e meno sporche della raccolta.


[1] Irvine Welsh, “Eurotrash”, in Acid House, Guanda, 2005.
[2] Irvine Welsh, “Eurotrash”, in Acid House, Guanda, 2005.
[3] Intervista di Gabriella Greison a Irvine Welsh, Il fatto quotidiano 25 maggio 2015.
[4] Irvine Welsh, “Eurotrash”, in Acid House, Guanda, 2005.