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Leggere antologie di racconti come gustare cuneesi al rum

Antologie racconti
Foto di Patrick Tomasso su Unsplash

C’è un amico di famiglia che ogni anno, in occasione del Natale, regala a me e alla mia compagna un sacchetto di cuneesi. Avete presente quei deliziosi cioccolatini il cui cuore di crema pasticcera al cioccolato fondente e rum (ma che ormai sono disponibili anche in altri gusti con o senza liquore) è racchiuso tra due cialde di meringa ricoperte di cioccolato? Se non li avete mai assaggiati vi consiglio, la prima volta che passate da Cuneo, di fermarvi in una delle tante pasticcerie del centro che li vendono. Farete un gustoso regalo al vostro palato e capirete anche perché, in un sito che tradizionalmente si occupa di racconti (e in un articolo che promette di parlare nello specifico di antologie di racconti), ho deciso di iniziare parlando di cioccolatini.

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Martin il romanziere, di Marcel Aymé

Quando i mondi della fantasia e della satira si uniscono

Come nel mio non troppo lontano primo articolo su queste pagine, oggi voglio tornare a parlarvi di narrativa di genere. Lo faccio con Martin il romanziere, una bellissima raccolta di racconti uscita lo scorso anno per L’orma editore.

Prima di tutto l’autore. Chi è questo Aymé? Ammetto di essermelo domandato anche io quando questo libro mi è stato raccomandato, ma vinto dalla curiosità e dall’ottima qualità dell’edizione mi sono portato a casa il volume senza stare a pensarci troppo su.

Marcel Aymé, come forse lascia intuire il nome, è uno scrittore di origine francese, vissuto nella prima metà del secolo scorso. Famoso in patria per i suoi romanzi e racconti fantastici e per le sue pièces teatrali, da noi ha avuto una certa fortuna editoriale quasi solo con una raccolta per ragazzi (Les Contes du chat perché, apparsi in diverse edizioni nel corso degli anni). Fino all’anno scorso almeno, quando L’orma ha deciso di riproporcelo con una selezione dei suoi racconti più riusciti, che spero tanto essere la prima di una lunga serie.

Marcel Aymé fu uno spirito ribelle e poco avvezzo ad adeguarsi a qualsiasi ruolo preconfezionato ci si sarebbe potuto aspettare per lui, non riconoscendosi in alcuna corrente politica fu fedele sempre e solo a quello che di volta in volta gli suggeriva il suo istinto e il suo spirito. Questo atteggiamento anticonformista gli procurò diverse critiche, soprattutto per alcune scelte vicine alla destra radicale durante il periodo di occupazione. Critiche alimentate anche da alcune frequentazioni, giudicate poco raccomandabili, tra le quali spicca Louis-Ferdinand Céline, che, come ci ricorda nella prefazione Carlo Mazza Galanti, traduttore e curatore dell’antologia, veniva considerato dal nostro autore come: «Il più grande scrittore francese vivente, e forse il più grande lirico che abbiamo mai avuto»[1]A Céline è riservato anche l’onore di comparire come comparsa nel racconto La carta del tempo il primo di questa raccolta. Coerentemente con il suo modo di essere il nostro autore rifiutò la Legion d’onore nel 1949 e l’invito ad entrare a far parte dell’Académie française dieci anni dopo, e visse guardando sempre con divertito distacco e un pizzico di disprezzo al mondo degli intellettuali parigini e della cosiddetta cultura ufficiale.

Chi di voi ha avuto la fortuna di visitare Parigi ha forse avuto anche l’occasione di passeggiare in piazza Marcel Aymé, caratterizzata dalla presenza della statua in bronzo di un uomo (la stessa che trovate nell’immagine in alto, sì), colto nell’atto di attraversare un muro. Quell’uomo altri non è che Dutilleul, o le passe mureille, protagonista dell’omonimo racconto (non contenuto in questa edizione), e personaggio con il quale diversi parigini e molti turisti di passaggio amano immortalarsi, nel tentativo di aiutarlo ad uscire dal muro. Le fattezze della statua, per altro, sono proprio quelle dell’autore.

Il monumento è una perfetta sintesi del modo di Aymé di fare narrativa. I suoi racconti partono tutti da un presupposto fantastico, per poi seguire lo svolgimento degli eventi in maniera naturale. Troviamo: personaggi che prendono vita per rivolgere lamentele all’autore che li ha creati (com’è il caso del racconto che dà il titolo alla raccolta), leggi che impongono alla popolazione di ringiovanire (nel corpo ma non nello spirito), personaggi che hanno la facoltà di potersi moltiplicare a piacimento, e simili situazioni fantastiche, che al lettore risultano molto gustose e divertenti, ma che per i protagonisti sono non di rado fonte di angosce e di problemi. Queste sono solo alcune delle trovate dell’autore transalpino, che poi procede nella narrazione sviscerando tutte le conseguenze della situazione paradossale che vi ha dato inizio. Fino ad arrivare ad un finale che spesso ribalta all’ultimo secondo le aspettative che il lettore si era formato fino a quel momento.

Oltre ai risvolti fantastici questi racconti, ciascuno dei quali è un piccolo gioiellino, sono caratterizzati da un’ironia pungente, e sbeffeggiano apertamente il mondo della borghesia parigina, con tutte le sue convinzioni e i suoi codificati regolamenti. Un esempio tra tanti: nel racconto La grazia il protagonista, come premio per le sue virtù e la sua condotta di cristiano modello (addirittura il migliore di tutta Montmartre!), viene ricompensato direttamente dall’Altissimo con una luminosissima aureola, da sempre simbolo di santità, che gli compare proprio attorno alla testa. Ebbene la reazione della moglie del pio uomo è:

«Che roba è questa?» diceva. «Vorrei sapere che figura ci facciamo coi vicini, coi negozianti del quartiere e con mio cugino Léopold! C’è poco di cui andare fieri. È soltanto una cosa ridicola. Vedrai, si metteranno tutti a parlare di noi.»

Inutile dire che l’atteggiamento della moglie dello sventurato protagonista avrà non poche conseguenze sullo sviluppo della trama.

Le storie raccontate da Marcel Aymé sono tutte così. Pur avendo all’incirca lo stesso schema, (situazione paradossale; conseguenze; finale imprevedibile) riescono a sorprendere il lettore con una freschezza sempre nuova, che non stanca. Pur essendo caratterizzati da una forte vena umoristica i racconti hanno la capacità di spingere il lettore a riflettere su aspetti della contemporaneità che sono ancora molto attuali, e che vengono messi alla berlina con uno stile satirico ma mai stucchevole. Non è sempre facile coniugare leggerezza con la profondità, ma questa antologia di racconti ci riesce benissimo. Consigliata per chi cerca una lettura leggera ma allo stesso tempo non banale.


[1] Carlo Mazza Galanti, prefazione a Martin il romanziere, L’orma editore, 2016, pag. 10.

Ma il mondo, non era di tutti?

Racconto di un’antologia sui confini

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Photo by Ashish_Choudhary

Ma il mondo non era di tutti?  è una raccolta di racconti collaborativa, che mette insieme voci diverse del panorama letterario italiano contemporaneo. Gli otto racconti che compongono questo libro, breve ma intenso, ruotano tutti attorno al concetto di confine.

Paolo Nori, autore della prefazione e curatore della raccolta, mette subito il lettore di fronte a una domanda di quelle toste:

Ha senso, oggi, in Italia, l’articolo primo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, quello che dice che: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Sono tutti dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni e gli altri con uno spirito di fraternità”?.[1]

Edite da Marcos y Marcos con il patrocinio dell’Arci, queste otto brevi storie (non solo racconti, ci sono anche una poesia, un brano a carattere più saggistico e una breve graphic novel liberamente ispirata a uno scritto di Pier Paolo Pasolini) non tentano di dare una risposta, ma spingono il lettore a confrontarsi con questo interrogativo.

Ogni autore ha provato ad affrontare il concetto di confine da un punto di vista diverso. Presentandoveli cercherò di darvi un assaggio di ciascun pezzo, senza spoiler eccessivi (ma se proprio siete molto molto sensibili alla faccenda siete avvisati).

Carlo Lucarelli ci porta nell’Africa coloniale, all’epoca in cui l’arrivo dei nostri connazionali significò, tra le altre cose, il caos per la vita di un umile pastore di capre, che più per stizza che per vendetta userà l’unico mezzo a sua disposizione per rivalersi nei confronti dei «sacri confini della Patria».
Emanuela Carbé affronta la questione del confine dal punto di vista linguistico, tra studenti universitari e ragazze orientali che nessuno sa da dove provengano, in una storia che ci insegna come spesso per capire qualcuno basta semplicemente provare ad ascoltarlo.
Antonio Pascale ci narra, con un breve excursus temporale, com’è cambiata l’Italia negli ultimi quarant’anni e di come, negli anni sessanta, anche il raggiungimento della costiera romagnola fosse un bel traguardo per qualcuno.  A scandire il ritmo del racconto, come le lancette di un orologio, sono i numeri sull’aumento della popolazione mondiale che ha visto, in quattro decenni, raddoppiare le proprie unità, e che nonostante le conquiste della tecnologia continua spesso a soffrire degli stessi problemi, ansie e paure.
Francesca Genti prega, per il mondo e per la parola. E attraverso di essa.
Giuseppe Palumbo reinterpreta con la penna, l’inchiostro e le chine la poesia Profezia 1964 di Pasolini, che parla di Alì dagli occhi azzurri, che «scenderà da Algeri su navi a vela e remi».
Monica Massari si interroga su come possiamo fare a comprendere, ascoltare e preservare le storie che ogni migrante porta con sé. Con la convinzione che in fondo per capire un fenomeno complesso una buona storia possa essere più utile della statistica.
Violetta Bellocchio sceglie come protagonista della sua storia un musicista di periferia, che prova a sbarcare il lunario come può ai matrimoni delle persone ricche (che comunque «fanno schifo come tanti altri»). Saranno l’incontro con una strega e la scrittura che gli permetteranno di riconciliarsi con il posto dal quale proviene.
Gipi (per una volta in veste di scrittore) ci racconta invece di quella volta che è stato buono, tipo nel ’92.

Confini fisici, ma anche linguistici, sociali e soprattutto mentali, quelli che sono protagonisti di Ma il mondo non era di tutti. Confini che hanno una caratteristica in comune propria del loro essere, l’isolamento dell’individuo di fronte a una realtà. Poco importa se si tratta di un migrante, di un meridionale o di qualcuno che semplicemente parla una lingua diversa, è l’etichetta di diverso a stabilire spesso il primo dei confini, quello più difficile da superare.

Altra protagonista della raccolta, stavolta in senso positivo però, è la parola. Parola come elemento costitutivo di un linguaggio, come preghiera, come mezzo per trasmettere il proprio vissuto a chi sta dall’altra parte. Sono le parole che possono aiutare a valicare il confine, e il racconto è uno dei contenitori più rapidi, efficaci e immediati per veicolarle al meglio.


[1] La citazione è tratta dalla prefazione.