Sottovetro, di Margaret Atwood

Di Francesca Ceci

Alcune storie sono più sincere di altre, alcune raccontano una verità che non vorremmo conoscere, ricordano qualcosa o qualcuno che avremmo voluto lasciare sottoterra e che invece ci costringono a disseppellire. È sufficiente un personaggio, un tono, un silenzio o una stanza per scatenare una piccola quieta tempesta, dolorosa e addormentata fino ad allora, piacevole e inaspettata all’improvviso.

carver sottovetro
Photo by Annie Spratt on Unsplash

Sottovetro ha inizio con l’illusoria convinzione di una tranquillità esteriore e apparente che in realtà non riguarda la protagonista senza nome, la ragazza che si guarda intorno e crede di sentirsi finalmente a suo agio con il mondo esterno. È una patina di autoinganno che non le serve a nulla scendendo le scale del seminterrato in cui dorme, più che vive, il suo uomo, l’illusione di un compagno.

Comprare frutta che lui non ha mai assaggiato, regalargli una rosa senza trovare un vaso in cui metterla, immaginare di cucinare per entrambi in una cucina che lui non ha mai riparato, sopravvivere in una messa in scena. Ogni gesto di lei racchiude una speranza silenziosa, un posso farcela, l’ostinazione di volere una persona e allo stesso tempo di accettarla se fosse diversa, appena di poco. Lui è uno che compie pochi gesti e sbagliati. Vive in una stanza in cui non entrano aria e luce, in una vita soffocante che impone passivamente anche a lei che lo ama e vorrebbe non amarlo.

Le pagine del racconto tirano fuori quell’infinito dilemma delle relazioni maledette. Non c’è bisogno del cliché del poeta tossico e pessimista, all’amore odiato basta molto meno. Meno scena, nessun clamore, troppa semplicità, banalità che rende difficile spiegare o cercare di far capire. Perché si è attratti da lui, perché lei non sa liberarsene. Forse la risposta è in sole due righe, negli unici due piccoli insignificanti ma enormi gesti che lui compie senza pensarci.

Appoggiarsi a una spalla al risveglio. Un bacio sulle dita davanti a una metropolitana in attesa. O forse la vera risposta sta nel convincersi del bisogno dell’altro. Persuadersi che lui non sappia pulire il bagno né cucinare perché nessuno gli ha mai insegnato come farlo, che non sappia amare né parlare per lo stesso motivo. Il pensiero di comprargli dei bicchieri, un telo da bagno, di portare un fiore in quella stanza, bastano da soli a trovare la forza di ricominciare, ad accantonare la consapevolezza dei comportamenti ciclici, a fingere di ignorare che domani non andrà meglio.

Chi è tra i due protagonisti che vive sottovetro? Margaret Atwood sceglie per questa storia un titolo che abbraccia entrambi i personaggi, rispecchia ognuno dei due modi di essere, ciascuno sotto la propria bolla, dentro qualcosa dal coperchio pesante in cui nuotare senza trovare l’uscita. O forse è il termine che descrive l’aria che non si respira in un rapporto fatto di stanze spoglie, di intuizioni non rivelate, di dolorosa ripetitiva normalità.

C’è un parallelo in cui risiede tutta la verità del racconto. È la visione della vita e delle scelte della ragazza come una pianta che da sola ha imparato a somigliare alle pietre, con foglie grandi e macchiate in modo da potersi mimetizzare tra i sassi, quiete allo stesso modo, forti come loro.

A fine lettura le ho cercate e credo di averle trovate. Si chiamano sassi viventi o pietre vive, piccole piante grasse che vivono nel deserto, dove sopravvivono mimetizzandosi per non essere aggredite. Vengono allo scoperto solo dopo anni, in autunno, producendo un fiore bello e sproporzionato.

Forse sottovetro è la serra in cui piante e pietre imparano a confondersi.

Penso a loro; crescono silenziosamente, nascondendosi nel terreno secco, eventi minori, piccoli zero che non contengono altro che se stesse; nessun valore nutritivo, apparentemente rassicuranti e arrotondate, poi di colpo svaniscono. Mi chiedo quanto tempo ci voglia, come fanno.

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Francesca Ceci ha pubblicato Altre parole sul secondo numero di Tre racconti. Per leggerlo, puoi scaricare il Pdf disponibile qui. Per sfogliare la rivista, invece, clicca qui. 

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