Il buio è una forma di amore. I racconti di Deborah Willis

Foto di Matthew Henry, Unsplash

Quando Deborah Willis ha esordito con la raccolta Vanishing and Other Stories (tradotta con il titolo Svanire da Del Vecchio Editore) è stata più volte messa a confronto con Alice Munro non perché entrambe autrici di racconti, né per la comune nazionalità canadese e neanche per aver lavorato nella libreria Munro’s Books, fondata proprio dalla scrittrice e consorte, ma soprattutto per la maturità e la profondità riscontrate in quella che altro non era che la sua opera prima. 
Classe 1982, nata e cresciuta a Calgary prima di trasferirsi a Victoria, dopo aver fatto l’insegnante di equitazione, la giornalista e infine proprio la libraia, nel 2009 ha pubblicato Svanire che si è subito conquistato il titolo di uno tra i migliori libri dell’anno dal The Globe and Mail per la capacità dell’autrice di riuscire a scavare nei meandri dell’assenza e della sparizione, raccontando come le vite di chi sopravvive alla propria perdita si adattino al vuoto che si è creato, come il dolore plasmi una nuova versione di noi stessi.

Otto anni dopo aver indagato la mancanza in molte delle sue possibili sfaccettature, la scrittrice canadese è tornata con una seconda antologia di racconti uniti da due fili conduttori entrambi presenti nel titolo, The Dark and Other Love Stories, tradotta in italiano nel 2019 sempre da Del Vecchio Editore con il titolo Il buio e altre storie d’amore.
Quando a Roma lo scorso dicembre in occasione di Più Libri Più Liberi ho assistito alla presentazione del libro, ho avuto la possibilità di ascoltare Deborah Willis riflettere su due piccole ma sostanziali differenze tra la lingua italiana e quella inglese; la prima delle due riguarda la parola amore
In italiano si è abituati a dire ti amo esclusivamente al proprio compagno, presupponendo una relazione amorosa tra chi lo dice e il destinatario; per tutti gli altri si parla di affetto, a tutti gli altri di solito si dice ti voglio bene. In inglese invece to love ingloba tutto, comprende qualsiasi tipo di amore e di affetto, a prescindere dal legame o dal livello di parentela. In pratica, se in italiano amare è un verbo esclusivo, riferito in genere al sentimento che lega due amanti, in inglese è un verbo inclusivo, non fa distinzione. 
Questa differenza linguistica è la cartina tornasole di una più ampia differenza culturale e di conseguenza letteraria. Partire da questo presupposto è fondamentale per approcciarsi alla nuova raccolta della Willis, perché fermarsi al titolo rischierebbe di essere fuorviante per noi che siamo abituati a circoscrivere l’amore alla realtà di coppia.

In Il buio e altre storie d’amore la scrittrice indaga infatti il concetto di amore svestendolo però della propria connotazione tipicamente romantica e rielaborandolo attraverso la connessione emotiva che si può creare tra due persone, al di là del legame che li unisce, perché l’amore trapela da ogni tipo di rapporto, in qualsiasi condizione esso si trovi; anzi più il rapporto è logoro e travagliato, più l’amore dà una più ampia e chiara manifestazione di sé. Più ci sono segnali che manifestano un equilibrio ormai precario, più è chiara la solidità del sentimento.
Una bambina dovrebbe amare meno il proprio padre soltanto perché lui ha svuotato il conto della madre prima di andare in comunità? Un figlio dovrebbe amare meno il proprio padre perché l’unico insegnamento che gli dà prima di scomparire di nuovo è vandalizzare una casa la sera di Halloween?

L’avrebbe detto e basta: – Vivo con una cornacchia.
Poi le raccontò dell’uccello sul materasso, del nido, dell’uovo. – Il suo nome è Todd, – disse. – Lei ti piacerebbe. È divertente e gioca a calcio.
Abby era così silenziosa che pensò avesse riattaccato. Pensò che l’avrebbe detto alla madre, e non avrebbe più chiamato. Ma poi Abby disse: – Discendono dai dinosauri.
– Cosa?
– Gli uccelli, – disse, – sono dinosauri che riescono a volare. 
– Lo sai che si orientano? – chiese lui. – Guardando la Luna e il Sole. Misurando la curva della Terra.
– Davvero?
E lui si sentì come un genitore. Come una persona che sapeva cose e avrebbe potuto prendersi cura di lei.
– Davvero, – disse. – E lo sapevi che riescono a percepire i terremoti prima che arrivino?
– No.
– Riescono a sentire le placche tettoniche muoversi. Riescono a percepire la pioggia ancora prima che inizi a cadere.


Foto di Benjamin Balázs, Unsplash

L’amore, svuotato del significato ideale più classico, si carica di un nuovo senso di smarrimento e disagio; è il momento in cui il protagonista non si sente più in grado di ricoprire il ruolo che la propria relazione gli impone, oppure non si sente all’altezza, ed è esattamente in questo cono d’ombra che la scrittura della Willis si muove per rivelare quanto ciascuno sia vittima e carnefice del rapporto che lo lega all’altro.
La mia ragazza su Marte è un racconto paradossale che descrive la relazione disfunzionale tra due ragazzi che si sono «impegnati a non andare da nessuna parte. Da nessuna parte, ma insieme»; la loro storia però entra in crisi nel momento in cui lei rivela al fidanzato di essere in procinto di partire per Marte. E allora è amore trattenere l’altra persona a sé per via di quella promessa, perché il mondo da soli fa paura, oppure è amore permetterle di andarsene e sostenerla, anche se significa vederla partire? E se poi lei torna, è tornata per te o è tornata perché in fondo non c’era un’alternativa possibile?

Voglio che se ne vada di nuovo. Voglio anche toccare i suoi capelli. – Sei qui.
– Sono qui, – dice lei. Ma vedo che sta mentendo. Che sta facendo quella cosa di quando fluttui fuori da te stesso, e guardi dall’alto la tua vita. La mia ragazza è su Marte. 
– Sono qui, – dice di nuovo. Poi comincia a piangere, in silenzio, asciugandosi in fretta gli occhi con il dorso della mano.
Le passo un braccio attorno al corpo e lei mi è nota come sempre, anzi ancora più familiare, perché in un certo senso la capisco. Il desiderio di scappare, di vedere la Terra dall’alto. Di vedere quello che vede Dio. Ma siamo qui su questo pianeta fatto di aria respirabile e koala e penne a sfera. Siamo qui in questa stanza, su questo divano soffice come il fango e ci tiene radicati al suolo. Siamo nel giardino, e la gravità ci riduce in polvere.

La pubblicazione del suo secondo libro rappresenta un passaggio di testimone, una prosecuzione ideale del discorso che era cominciato con la prima antologia, perché alcuni racconti di Il buio e altre storie d’amore potrebbero benissimo stare in Svanire e viceversa; le due raccolte dialogano senza sosta, sembrano descrivere momenti diversi di un’unica grande storia
Fuga, presente in Svanire, è infatti la storia di un marito che ha perso la donna che ama, un uomo che l’ha vista sparire giorno dopo giorno davanti ai propri occhi.

I ricordi così nitidi sono pochi. La presenza di Kelly nella sua mente è offuscata: entra ed esce, ma non in una forma che lui possa odorare o toccare. Quella parte della sua mente si è fatta buia e si illumina solo a chiazze, come la strada di notte. È come se Kelly fosse scomparsa in uno sbuffo di fumo o si fosse nascosta dietro un sipario. Dev’essere passata facilmente in una sorta di aldilà, che è ciò che lei avrebbe desiderato. Lui si aspettava di essere inghiottito dal dolore. Aveva sperato che non sarebbe svanita così in fretta. Aveva sperato che lo perseguitasse.

Scomparsa, appunto. Ma potrebbe essere anche la storia di come il buio lo salvi da se stesso e dalla sua solitudine, di come l’amore sia quello spazio in cui il tempo si incunea e si dilata, e di come la propria perdita diventi un buco nero che si trascina tutto dentro. Di come quel buio diventi un’alternativa allettante alla luce che filtra dalle finestre e illumina la parte di una stanza in cui prima c’era un letto, e dentro al letto una persona. 
Deborah Willis sembra dirci che oltre alla sofferenza per una mancanza, c’è anche il dolore che sopraggiunge nel momento in cui il ricordo si fa meno pressante, meno realtà e più assenza; quella condizione in cui i contorni – i volti – si fanno evanescenti, ma non per questo si perde l’amore. Non per questo si ama di meno, anzi, si ama di più quando tutto il resto si sgretola e di quella cosa che un tempo era reale, potevi toccarla, resta solo un ricordo sbiadito dallo scorrere del tempo.
Ed è proprio attorno a questo vuoto che come un’edera si avviluppa la nuova esistenza dei protagonisti dei racconti; è attraverso la loro perdita che si forma questo nuovo qualcosa, un bagaglio che si portano appresso in tutto il percorso. Un qualcosa che ha a che fare con la solitudine.

Lui potrebbe aspettare che passi; e passerà, in fretta. Lei guarderà l’orologio e andrà via. Lo sa perché anche lui conosce la solitudine. Ne conosce i piacere e il potere. Sa che è una casa in cui si vive, un posto in cui puoi guardare i tuoi dolori fluttuarti intorno come un nugolo di pesci. È anche un’abitudine, e lui sa quanto diventi radicata e come crei dipendenza.

La seconda differenza tra italiano e inglese riguarda proprio il concetto di solitudine; in inglese ci sono due parole, loneliness e solitude, che pur essendo tradotte con la stessa parola esprimono due condizioni e due stati d’animo molto diversi. La prima indica la sofferenza di sentirsi lontani – isolati – da tutti gli altri, anche in mezzo ad altre persone, e ha a che fare con il disagio e l’emarginazione; è una condizione mentale, psicologica ed emotiva, è quella parola di connotazione negativa a cui subito si pensa si dice solitudine. Solitude invece è l’esatto opposto: è una scelta volontaria, un bisogno, una necessità; indica un distanziamento fisico reale, a cui però non corrisponde una sensazione analoga. In poche parole, solitude significa essere soli senza sentircisi.
I racconti presenti in Il buio e altre storie d’amore paradossalmente sono a modo proprio piccoli ritratti della solitudine e di come ci si abitui a vivere con un amore che non è quello idealizzato, o come si sopravviva quando scompare del tutto.
L’ultimo ad andarsene ad esempio parla di una storia d’amore lunga una vita, ma neanche a dirlo è la storia di una sparizione e il diario di una perdita; è il racconto di un amore che sfocia da una mancanza, un amore in cui la comunione di una certa forma di solitudine rende il rapporto dei due protagonisti ancora più forte.

Resti, aveva detto lui, e lei era restata per 48 anni.
E ancora restava lì nella casa tagliando la legna per il fuoco, badando al giardino. Per lo più non parlava. Non perché non ci riusciva, lui le aveva mostrato che le perdite possono essere sopportate, ma perchè non c’era più nessuno, ora, con cui parlare.

Ciò che in Svanire pareva essersi perso, nei racconti di questa seconda raccolta può essere ritrovato proprio grazie alla presenza del buio che in tal senso sembra andare a braccetto con il concetto di amore, creando un dualismo soltanto all’apparenza stonato e antitetico. Cosa c’è di più lontano dall’idea comune di amore se non quella del buio? 
La Willis sceglie di raccontare un certo tipo di storie per rivelare proprio questo aspetto: se per alcuni il buio è quella condizione che nasconde alla vista, per altri è al buio che si può tentare di vedere le cose per quello che sono e per la loro reale bellezza
Perché è al buio che l’amore è davvero amore.

Penso a lei solo qualche volta ormai, le poche volte che permetto a me stessa di incontrare un uomo che conosco. Quest’uomo e io ci siamo conosciuti una notte, ai bordi della nostra città che si espande di continuo. Ci incontriamo lontano dalle nostre vite diurne fatte di lavoro, coniugi e bambini. Ci incontriamo dove lo sviluppo suburbano sanguina nella campagna. […] Quando spegniamo i motori delle macchine scende il buio e ci troviamo solamente tramite i suoni. Ci raggiungiamo grazie al rumore delle nostre scarpe sulla strada, e grazie all’abitudine e grazie a una lunga amicizia. Ritrovare il suo odore familiare lì fuori è come raggiungere quei cavalli di notte: un momento di grazia rubata, di bellezza che non meritiamo. Infilo le mani sotto la sua giacca, la sua camicia, le mie mani nuotano verso la sua pelle. Poi ci stringiamo, quell’uomo e io. I nostri corpi l’uno contro l’altro, riusciamo a sentire il battito, all’unisono, dei nostri cuori oscuri.

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