Una raccolta a tema nel centenario della rivoluzione del diciassette

St’allegria nun me viene da voi
Me ce svejo da trent’anni e ormai
S’è mischiata alla rabbia e all’amore
Mo ch’è tempo de rivoluzione.
Il muro del canto – Intro[1].
Se ci seguite da un po’ vi sarete accorti che in questo spazio del mercoledì, che occupiamo a rotazione, noi della redazione cerchiamo di esprimere il nostro punto di vista sul mondo del racconto. Dal tema comune ognuno tira fuori il suo pezzo, mettendoci la propria esperienza e sensibilità, com’è normale che sia, e tentando di far sentire ciascuno la propria voce, per usare un’espressione cara alla nostra Capa. Io mi sono creato più o meno inconsapevolmente il ruolo di osservatore delle nuove uscite sul mercato editoriale; meglio se della nicchia indipendente, alla quale del resto siamo tutti piuttosto affezionati. Per questo, quando in redazione è arrivata la proposta di lettura di Mio padre la rivoluzione di Davide Orecchio, da parte di Minimum Fax, la scelta di passarlo al sottoscritto è stata condivisa da tutto il team. E in meno di centocinquanta messaggi sulla nostra chat, che per i nostri standard è poco eh! (Grazie della fiducia ragazzi!).
Vediamo quindi cosa ci riserva questa raccolta di racconti freschissima di stampa.
Com’è facile immaginare dal titolo il tema che accomuna i racconti di Davide Orecchio è quello della rivoluzione. Nello specifico la rivoluzione russa del 1917 di cui ricorre proprio quest’anno il centenario. L’autore oltre che uno scrittore è uno storico, e questo, anche senza andare a cercare la sua biografia online, è evidentissimo dallo stile con cui tutta la narrazione è costruita: la commistione tra storia e letteratura è infatti la cifra stilistica che contraddistingue Davide Orecchio. Una volta aperto il libro non ci troviamo davanti a “semplici” storie di fantasia, non solo, ma prendendo le mosse da personaggi storici realmente esistiti e fatti realmente avvenuti Orecchio inizia il suo percorso, che lo porta a esplorare con l’occhio del narratore gli avvenimenti della storia contemporanea recente.
Un esempio di questo modo di procedere nella narrazione è il primo racconto, che immagina un Lev Trockij sopravvissuto all’attentato che gli fu fatale e alle prese con il commento politico dei fatti d’Ungheria del 1956. Tra le pagine incontriamo personaggi storici più o meno famosi: ci sono Lenin e Stalin, Calvino e Rodari, ma anche il padre dell’autore, Alfredo Orecchio, che scrisse tra il 1944 e il 1945 un reportage dalla Sicilia dove erano da poco sbarcate le forze Alleate.
Tutta la raccolta è contraddistinta da uno stile estremamente ricercato, che richiede una costante attenzione del lettore per non perdere il filo della narrazione, molto spesso volutamente ingarbugliata, e che gioca a intrecciare tra loro piani temporali e personaggi diversi (un esempio è il racconto Iosif Adolf Vissarionvič dove Hitler e Stalin sono immaginati come un unico personaggio, facendo leva sulle molte somiglianze che caratterizzarono nazismo e stalinismo, oltre che quelle che accomunavano i due dittatori).
Il modo migliore che ho per spiegarvi lo stile dell’autore è quello di fornirvi un piccolo assaggio della sua prosa:
Entra l’anno cinquantasei del secolo d’oro, assomiglia a suo padre che fu il diciassette ed era l’androceo ed era il gineceo quando per gemmazione ebbe il tempo di dargli la vita; avanti a che morisse troppo giovane, quel garofano – l’anno diciassette – partorì un biancospino: il cinquantasei.
Tra le rusalche infuriate nella tempesta petrosa di un mare di ferro e di coke già i bolscevichi istoriavano i fossili finché il garofano cadde e, raccolto da terra, i bugiardi gli ingenui i sofisti i fanatici gli utopisti lo traslitterarono in mummia e mentre il canto funebre si mascherava a leggenda quelli dissero Noi siamo i guardiani del diciassette, noi siamo le guardie della rivoluzione.[2]
All’inizio non nascondo di essere rimasto un po’ stordito, ma una volta preso il ritmo il libro scorre in maniera piacevole fino all’ultima pagina.
L’impressione che ho avuto leggendo questa raccolta è quella di ascoltare un racconto orale. Oltre che alla voce dell’autore, sempre riconoscibile e molto uniforme in tutti e dodici i racconti, la sensazione è dovuta a qualche espediente retorico sapientemente dosato. Come nei poemi epici, infatti, qualche caratteristica particolare riemerge in tutti i racconti, e viene al bisogno ripetuta. Questo processo è evidente da subito nel modo in cui i vari anni vengono descritti: ogni anno è un fiore, con le sue caratteristiche particolari che ritornano di volta in volta. Abbiamo già conosciuto il 1917, garofano, e il 1956, biancospino. Altri esempi potrebbero essere il 1941 «fiore selvaggio, anno violento, unico figlio di Hitler»[3] oppure «questo fiore di palma, il quarantatré, mostrava una spata vistosa, una vita breve, e quando l’estate italiana eiaculava il suo duce in un seme non fertile, nel luglio del crollo»[4]. Ci sono altri fiori nel libro, che vi lascio il piacere di scoprire.
Ho particolarmente apprezzato le note presenti alla fine di ogni racconto, nelle quali l’autore ragguaglia il lettore su quanto appena letto ed esplicita le fonti utilizzate. C’è infatti un grande utilizzo delle fonti storiche in questo libro: proprio come in una ricerca i racconti sono impreziositi da citazioni tratte dagli scritti dei protagonisti, che vengono incastonate (e qualche volta rielaborate per farle calzare meglio) all’interno del racconto. Non mancano anche saggi storici e biografie: un intero racconto, Cast, è costituito interamente da citazioni legate insieme in modo da formare un percorso unitario e coerente. Potrebbe sembrare una scelta furba questa, ma il risultato finale è ben riuscito e il posizionamento strategico all’interno della raccolta aiuta il lettore a entrare nell’atmosfera del libro.
Se dovessi provare a utilizzare una metafora per descrivere questi racconti direi che sono un piatto ricercato, forse non adatto a tutti i palati. Io, come avrete intuito, li ho molto apprezzati, ma ho masticato anche la mia buona dose di studi sul tema e sono sinceramente interessato all’argomento dai tempi degli studi universitari (quindi più o meno dall’altroieri). Qualcuno potrebbe trovare questa pietanza indigesta, altri potrebbero semplicemente non trovarla adatta ai propri gusti. Per tutti gli altri Mio padre la rivoluzione offre un’esperienza singolare e entusiasmante. E un modo diverso dal solito di fare letteratura che lascerà certamente soddisfatti.
[1] Il muro del canto è un gruppo romano che fa musica folk-rock, non so quanto famoso al di fuori dei confini della Capitale. Forse un pochino di più ora che su Netflix danno Suburra. L’intro dei loro concerti mi è parsa ottima per introdurre anche questo articolo.
[2]Davide Orecchio, “Una possibilità di Lev Trockij”, in Mio padre la rivoluzione, Minimun Fax, 2017 (p.8)
[3]Davide Orecchio, op. cit. (p.31)
[4]Davide orecchio, “Il mondo è un’arancia coi vermi dentro”, in op. cit. (p.193)