Sul mestiere di scrivere ovvero su Virginia Woolf

Ho appena finito di leggere tutti i racconti di Virginia Woolf1 e credo che sia una buona maestra per chiunque decida di dedicarsi alla forma breve. In fin dei conti, ha scritto saggi, prose, racconti, romanzi, articoli di critica letteraria, moltissime lettere  e un diario fino a pochi giorni prima della sua morte, quindi, le parole erano il suo pane quotidiano. Lasciamoci dunque guidare da lei per imparare ancora qualcosa sul mestiere (che lei definiva arte) di scrivere.
La Woolf, non è un mistero, scriveva ‘raccontini’2 quando aveva bisogno di riprendersi dalle sue fatiche maggiori, i romanzi, ma aveva metodo e attraverso i suoi racconti è possibile testare alcune delle regole base che rendono buono un racconto.


Regola n. 1
Un buon racconto si riconosce dalle prime righe


Tra quelli scritti dalla Woolf, scelgo l’incipit de Il segno sul muro:

Credo che fossimo a metà gennaio di quest’anno quando per la prima volta alzai gli occhi e vidi il segno sul muro. Per fissare una data è necessario ricordare quello che si è visto.

Già…! ecco una porta che si apre all’improvviso per portarci dal particolare all’universale, da un dettaglio insignificante a una vera e propria massima. Se ci pensate, è proprio così: le date importanti sono sempre legate a un’immagine precisa. Questo, peraltro, è un racconto bellissimo, “un capolavoro in miniatura” come scrive Liliana Rampello nell’introduzione alla raccolta. La piccola macchia sul muro, distrattamente notata dall’io narrante, all’inizio sembra un buco, poi assume i contorni di un petalo di rosa, diventa  un chiodo e, alla fine, si scopre essere una chiocciola sul muro. La Woolf, come se stesse usando lo zoom di una macchina fotografica, svela pian piano la realtà e al tempo stesso in poche pagine immerge il lettore in un flusso di pensieri, un viaggio interiore che porta a riflettere sul mistero della vita – racchiusa in una crepa sul muro, nel buco lasciato forse da un chiodo; sull’immagine che percepiamo di noi stessi – sempre così diversa dall’infinito numero di immagini che gli altri hanno di noi, come lo è quel petalo di rosa appiccicato al muro che appare altro; sulla luce della conoscenza – la piccola gobbetta sul muro – che diventa uno sguardo sulla realtà, come quello di un naufrago che finalmente afferri un legno nel mare della vita per non affogare, raffigurato dalla piccola chiocciola o dalla macchia sulla parete.


Regola n. 2
Caratterizzare bene i personaggi, renderli verosimili, collocarli nella giusta ambientazione


Eccone un esempio, tratto dal racconto Phyllis e Rosamund:

«Phyllis ha ventotto anni, Rosamund ventiquattro. D’aspetto sono graziose, con guance rosse, vivaci; l’occhio indagatore non scoprirà alcuna bellezza di lineamenti regolari; ma l’abito e il contegno, conferiscono loro l’effetto della bellezza senza la sua sostanza. Sembrano native del salotto, quasi che, venute al mondo in abito da sera di seta, non avessero mai calcato suolo più scabroso del tappeto persiano, o reclinato le membra su superficie più ruvida della poltrona o del sofà. Vederle in un salotto pieno di uomini e donne ben vestiti è come vedere il commerciante alla Borsa, o l’avvocato al Palazzo di giustizia.»

La Woolf ci descrive due donne ordinarie, due ‘belle statuine’ diremmo noi, immuni al vento dell’emancipazione femminile che soffiava forte negli anni venti, e lo fa senza rinunciare all’ironia, usando poche frasi ma sempre giuste. A rafforzare questa immagine c’è poi la risposta di Phyllis quando le verrà chiesto che mestiere fa: «Ordino il pranzo, sistemo i fiori!»


Regola n. 3
Un punto di vista originale, un modo nuovo di descrivere il reale


Per questa, scelgo una scena tratta da uno dei suoi ultimi racconti, La stazione balneare:

«Il consumo di pesce in quella sala da pranzo era enorme. L’odore pervadeva persino la stanza con l’indicazione Signore al mezzanino. Questa stanza era divisa da una semplice porta in due scompartimenti. Da un lato della porta venivano soddisfatte le esigenze della natura; e dall’altro, davanti al lavabo, davanti allo specchio, la natura veniva sottoposta alla disciplina dell’arte.»

Quest’ultima frase sublima in un attimo quello stereotipato “incipriarsi il naso” tipico dell’epoca! E poi, leggendo questo brano non si può fare a meno di pensare alla scena, molto più prosaica, descritta da James Joyce nell’Ulysses, quella di Mr Bloom al gabinetto. Questione di stile, di punti di vista. La Woolf, infatti, definì nel suo diario quel romanzo un colpo mancato, e Joyce: «un genio, ma di un’acqua inferiore. È torbido. È pretenzioso. È plebeo, non solo nel senso ovvio, ma nel senso letterario. Uno scrittore di classe, voglio dire, rispetta troppo la scrittura per ammettere le trovate. Le sorprese, le bravure.»3. Eh già, per Joyce evidentemente non c’era un modo elegante, diverso, più originale, per dire che sono stati soddisfatti i bisogni fisiologici; se siete curiosi e volete saperne di più, andate a leggervi la scena descritta nel primo episodio della parte seconda, quella intitolata Calipso.


Regola n. 4
Deve diventare una goccia che scava nella roccia


Un  buon racconto è quello che si desidera rileggere ancora, e ancora, perché continua a insinuarsi tra le pieghe della nostra memoria, come la goccia che scava nella roccia, appunto. Tra quelli della Woolf, Oggetti solidi è indubbiamente uno di questi. È la storia di un’ossessione che porta il protagonista a perdere tutto – carriera politica e amici – e a diventare un vagabondo in cerca di piccoli pezzi di vetro – muto e contemplativo –  o di porcellana – viva e vigile, oggetti solidi e inanimati che colleziona in modo insensato e che sostituiscono quelli in carne ed ossa, le persone che ha smesso di frequentare, le amicizie che ha perso senza che se ne sia reso conto.


Regola n. 5
Un buon finale, per poi tornare soddisfatti alla vita di sempre


Il lascito, altro sorprendente racconto della Woolf, è un ottimo esempio di come si possa trasformare quello che dalle prime righe sembra un normale momento di tristezza e di cordoglio in un vortice imprevisto, un buco nero destinato a sconvolgere il protagonista. Egli, da poco rimasto vedovo, convinto di avere avuto accanto, per tutta la vita, una moglie amorevole e devota, scopre soltanto dopo la sua morte che lei aveva un amante e che l’incidente che le ha causato la morte, in realtà è stato un suicidio. Un noir in miniatura, insomma.

La Woolf possedeva un talento innato per la scrittura ma questo non la rendeva meno metodica, sapeva quanto fosse difficile addomesticare le parole e quanto fosse indispensabile un’applicazione continua, un lavoro quotidiano, per diventare una vera scrittrice. Lei aveva il dono di trasfigurare la realtà, di renderla altro, di leggerla dentro; con il suo stile, un semplice gesto quotidiano diventava poesia, benché di poesia non si occupasse quasi mai.
E allora, il consiglio è di seguirne le orme, di leggerla, perché non esiste un buon scrittore che non sia prima ancora un buon lettore, che non creda in un maestro come in Dio stesso, parafrasando la prima regola del decalogo del buon scrittore di racconti stilato da un altro famoso autore di cuentos, il grande Horacio Quiroga, di cui parleremo un’altra volta.

  1. Oggetti solidi. Tutti i racconti e altre prose di Virginia Woolf, Racconti Edizioni
  2. Dopo aver terminato due libri, però, non ci si può concentrare subito su un altro; e poi le lettere, i discorsi, le recensioni, tutto serve a dilatare sempre di più la pupilla della mente. Non riesco a stabilizzarmi, a contrarmi, a rinchiudermi. Ho scritto sei raccontini, li ho buttati giù alla brava …” p. 115 del Diario di una scrittrice di Virginia Woolf, edizione Oscar Mondadori
  3. ibidem p. 78 del Diario di una scrittrice di Virginia Woolf
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