Da leggersi all’imbrunire di Charles Dickens

Una lettura fuori stagione

Quanto alle abitudini di lettura sono lettori che amano seguire l’andamento delle stagioni: leggere in inverno i romanzi ambientati nelle fredde terre russe ad esempio, e d’estate magari un giallo di ambientazione marittima, coniugando la stagione delle ferie a quella delle letture meno impegnative dette appunto da ombrellone. Ma c’è pure chi non ama rispettare questa sorta di stagionalità letteraria: è proprio a questo tipo di lettori che è idealmente dedicato l’articolo che state leggendo. Da leggersi all’imbrunire infatti è una raccolta di racconti di Charles Dickens, che quanto ad ambientazioni ed atmosfere riporta all’immaginazione più una serata dicembrina davanti al caminetto in inverno che una spiaggia affollata.

Casa fantasma
Photo by Nathan Wright on Unsplash

Questa raccolta è edita da Einaudi e curata da Malcolm Skey, traduttore e critico letterario che fu molto attivo nella diffusione in Italia del romanzo gotico, curando traduzioni e antologie e contribuendo alla diffusione nel pubblico italiano di questo genere letterario. Il volume si apre proprio con un’introduzione di Skey, ghiotta di aneddoti e che invoglia particolarmente alla lettura (cosa che non sempre capita con le introduzioni in verità); l’aneddoto più sorprendente riguarda nientemeno che Sir Arthur Conan Doyle. Sembra che il papà di Sherlock Holmes (a proposito, avete già letto l’approfondimento del nostro Davide sul più famoso investigatore della letteratura, vero?) nel settembre del 1927 tenne in casa sua una seduta spiritica nella quale riuscì ad evocare proprio Charles Dickens, per chiedergli lumi sul romanzo incompiuto Il mistero di Edwin Drood. Skye sottolinea l’ironia della faccenda, in quando Dickens, pur amando le ghost stories e avendone scritte un bel po’, era un individuo di natura decisamente scettica, in particolare nei confronti di pratiche come quella dello spiritismo.

Charles Dickens
Charles Dickens fotografato da Herbert Watkins, 1858 foto via Wikimedia Commons

Questa natura scettica dell’autore inglese non manca di affiorare in alcuni dei racconti della raccolta, che risulta composta da diversi tipi di storie, alcune di carattere moraleggiante e didattico, altre più ironiche e leggere, altre ancora scritte con il solo scopo di provocare un bel brivido nel lettore.

Sempre l’introduzione di Skey è utile a ricostruire la genesi dei racconti raccolti in questo volume: molti vennero pubblicati in riviste dirette da Dickens, che avevano cadenza settimanale e rappresentavano una delle molte occupazioni letterarie dell’autore; tra le consuetudini di queste pubblicazioni c’era quella di offrire ai lettori un numero speciale natalizio con un racconto a tema, una parte dei racconti della selezione è dedicata proprio a questi racconti di Natale. Cinque racconti tra quelli proposti invece sono estratti da Il circolo Pickwick primo romanzo pubblicato dall’autore inglese, tra questi ultimi c’è il racconto La storia dei folletti che rapirono un becchino, che contiene in embrione i temi che saranno trattati e approfonditi nel più noto Canto di Natale (altro libro nato proprio come strenna natalizia).

Un racconto horror e niente senza una buona atmosfera, una cornice che sappia trascinare il lettore nella storia e metterlo nella giusta disposizione di spirito. Dickens sapeva il fatto suo, nei suoi racconti più marcatamente horror non mancano tutti quelli che poi sono diventati gli stereotipi di questo tipo di storie. Un piccolo assaggio dalla conclusione del racconto Fantasmi natalizi:

Legione sono i castelli tedeschi, dove vegliamo in solitudine in attesa dello Spettro; dove veniamo accompagnati in una stanza resa relativamente gaia per il nostro arrivo, dove seguiamo con lo sguardo le ombre proiettate sulle pareti nude dal fuoco scoppiettante; dove ci sentiamo davvero soli quando il proprietario della locanda e la sua graziosa figlia si ritirano […] dove le porte si richiudono sbattendo, l’una dopo l’altra, sui loro anditi segreti, come ripetuti scoppi di un lugubre tuono; e dove, alle ore piccole della notte, facciamo la conoscenza di tanti misteri soprannaturali.

Non mancano nemmeno bieche figure di uomini malvagi, tipiche dei lavori di Dickens, che vivono solo per infliggere sofferenze al prossimo e ai quali l’autore amava contrapporre i suoi protagonisti esempi di rettitudine e di buoni valori; penso a romanzi come Le avventure di Oliver Twist, o Casa Desolata, in cui si vendono personaggi assolutamente malvagi contrapporsi a personaggi esemplarmente buoni. Una raffigurazione non certo verosimile della realtà, in cui generalmente il bene e il male sono in diversa misura presenti in ciascuno di noi, ma sicuramente piacevole da leggere in un romanzo o in un racconto, dove è bello poter ragionare per assoluti, vedere i buoni vincere e i cattivi puniti. Nel racconto Confessione trovata in una prigione ai tempi di Carlo II troviamo un personaggio di questo genere, un assassino che prima di venire giustiziato decide di lasciare un racconto delle sue gesta malvagie (anche questo uno stilema abbastanza fortunato in letteratura). L’assassino ricostruisce come pian piano l’idea del male si sia fatta strada in lui, fino a non trovare più alcun ostacolo e sviluppandosi pienamente

Né l’idea mi venne all’improvviso, ma lentamente, per gradi, dapprima in modo vago e lontano, come si può pensare a un terremoto o al Giorno del Giudizio; poi si fece man mano sempre più vicina e andò perdendo qualcosa del suo orrore e della sua improbabilità; infine divenne parte integrante – anzi quasi la somma e la sostanza dei miei pensieri quotidiani – riducendosi a una mera questione di mezzi e di sicurezza: non si trattava più di decidere se compiere o non compiere l’impresa.

Alcuni dei racconti dickensiani hanno un’ambientazione non proprio canonica, qualche storia infatti è ambientata in Svizzera, altre in Italia. Tra quelle ambientate nel nostro Paese troviamo inquietanti figure da nomi evocativi come Dellombra e Senzanima, a dimostrazione di come il male possa essere identificato immediatamente già nel nome di un personaggio

Come già accennato non tutti i racconti di Dickens sono classiche ghost stories però, anzi l’autore non ha disdegnato di manifestare il suo atteggiamento razionalistico in racconti che prendono in giro i classici stereotipi del genere con l’utilizzo di una buona dosa di ironia. Tra i più divertenti di questo tipo c’è La casa “infestata”, in cui già le virgolette presenti nel titolo lasciano presagire dove il racconto voglia andare a parare. Nel racconto un signore inglese decide di prendere in affitto una casa stregata, per verificare con i suoi occhi se le apparizioni di cui si vocifera in paese sono reali o frutto della fantasia popolare. Inizialmente la servitù della casa è effettivamente spaventata da rumori sinistri e presenze misteriose, il protagonista tuttavia non si perde d’animo, e affronta con decisione le situazioni apparentemente paranormali che si presentato. Ad esempio il misterioso suono di un campanello che si suppone sia cauato dallo spettro di un ragazzo:

[…] avevo staccato il campanello e bloccato lo scampanellio: cosí se loro arrivavano a immaginare che quel ragazzo balordo fosse vissuto e morto solo per mostrare un contegno che nel nostro imperfetto stato di esistenza l’avrebbe senz’altro messo in stretto contatto con una verga di betulla, bene, come riuscivano allora a spiegarsi che un modesto mortale quale io ero fosse in grado con quei meschini espedienti domestici di contenere i poteri degli spiriti incorporei dei morti.

All’esasperarsi della situazione il nostro decide di allontanare i servitori e raduna accanto a sé un gruppo di amici fidati, con cui vivere in comune e indagare i fenomeni soprannaturali che sembrano avvenire nella casa. In quella che sembrerebbe la perfetta scena d’inizio di un film horror gli amici giurano che, per alcuni mesi, vivranno in comune senza raccontare a nessuno degli altri ospiti di eventuali esperienze soprannaturali, in modo da non influenzarsi a vicenda con eventuali suggestioni. Il protagonista vive effettivamente qualche episodio misterioso, ma il tutto viene ricondotto a una suggestione, mista a nostalgia, dell’infanzia e delle sue fantasie:

Povero, povero me! Nessun altro fantasma ha infestato la stanza del signorino, amici miei, dal momento in cui l’ho occupata io, se non il fantasma della mia fanciullezza, il fantasma della mia innocenza, il fantasma delle mie illusioni svanite. Piú e piú volte ho inseguito quell’apparizione: mai sono riuscito, con questo passo di uomo adulto, a raggiungerla, mai, con queste mani di uomo, a toccarla; né a questo cuore di uomo è piú riuscito di possederla nella sua purezza.

Insomma non solo storie dell’orrore, ma anche un bel po’ di quell’ironia che gli amanti della scrittura di Charles Dickens hanno imparato a conoscere leggendo i suoi romanzi. Da leggersi all’imbrunire (peraltro, il consiglio insito nel titolo è parecchio azzeccato) è corredato da un’appendice dal titolo Padri, precursori e teorici nella quale sono raccolti alcuni testi, di carattere prevalentemente saggistico, di autori che potrebbero aver ispirato Dickens e le sue storie di fantasmi. Tra i tanti segnalo la sezione i racconti di villa Diodati dove c’è un brano in cui Mary Shelley racconta la genesi del suo Frankenstein.

Dickens conclude il suo racconto della casa infestata con parole moraleggianti, invitando alla lettura del Nuovo Testamento e accompagnando il consiglio con i suoi auguri natalizi. Volendo parafrasare il finale del racconto traslandolo ad un livello molto più prosaico concludo anche io augurandovi una buona estate, e che siano stagionali o no, buone letture per passare le vacanze in arrivo.

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