Georges Simenon è uno degli autori più prolifici di sempre. Lavorando ininterrottamente in una sola giornata poteva scrivere fino a 80 cartelle e consegnare al suo editore un romanzo breve in poco più di dieci giorni. Nato a Liegi nel 1903, diventa cronista per la Gazette de Liège poco più che sedicenne e in breve tempo, grazie alla pratica quotidiana imposta da quella professione, acquisisce la capacità di rielaborare fatti e storie in maniera asciutta. Pone insomma le basi di quel che sarà il suo caratteristico stile. Una scrittura semplice e diretta, priva di qualunque ricerca di effetto stilistico. Uno sguardo che registra quasi in maniera cinematografica, un realismo essenziale, privo di fronzoli, quasi crudele, l’abilità di costruire un mondo intero fatto di stradine e nebbioline, solo a tratti squarciato da colori violenti. Personaggi, spesso umili, in preda ad ossessioni che man mano sembrano quasi gonfiarsi sotto gli occhi del lettore per poi scoppiare fragorosamente una volta giunti all’inevitabile epilogo, spesso tragico. Anime in pena sotto cieli cupi e minacciosi. Una voce narrante che non partecipa e non giudica ma talvolta vibra di compassione.

Tutto questo, ovviamente, troverà una sintesi “alta” solo anni dopo, quando Simenon verrà definito «un Balzac privo di lungaggini» per quel suo indubbio talento nel costruire con uno strano minimalismo un mondo coerente e riconoscibile. Eppure molto del suo carattere è già intuibile nei primi scritti.
Proseguiamo, però, lungo il filo biografico. Alla fine del 1922, dopo gli esordi come cronista, ritroviamo Simenon a Parigi. Nella capitale francese fa il primo salto di qualità e inizia a scrivere sotto vari pseudonimi, e con un ritmo che ha dell’incredibile, le sue di storie. Sono romanzetti popolari, come egli stesso li avrebbe definiti più tardi, scritti per ogni tipo di pubblico, «per imparare il mestiere» o «far piangere le ragazze e le vecchie signore»[1]. Testi di varia lunghezza con titoli eloquenti come Dolorosa, I pirati del Pacifico, Libidinosa, Il nano delle cascate ecc ecc… In soli tre anni, dal 1923 al 1925, alcuni stimano abbia scritto addirittura oltre 700 tra racconti e romanzi commerciali collaborando con 14 riviste diverse.
Leggende a parte, come un artigiano versatile e creativo, Simenon rivela un’inventiva praticamente infinita sperimentando fino alla fine del decennio, quando matura propositi più precisi. È solo tra il 1929 e il 1930, infatti, che Simenon diventa veramente «le phénomène Simenon», come lo ribattezzò Robert Brasillach giornalista e critico molto famoso dell’epoca. Nel 1929, nel corso di una navigazione dei canali del Nord della Francia che compie con una chiatta da lui stesso acquistata scrive il racconto Pietr le Letton (Pietr il Lettone), dove fa la sua prima comparsa il personaggio di Maigret, il commissario al quale lo scrittore deve gran parte della sua immensa popolarità. È il primo pezzo di una produzione sterminata di storie che forgeranno un immaginario letterario e cinematografico e si stamperanno nella testa dei lettori e degli spettatori di tutto il mondo fungendo da modello per i commissari che verranno dopo, Montalbano compreso.
Ma andiamo avanti. Negli anni Trenta Simenon prosegue le sue fortune alternando racconti di genere ai primi «romanzi duri», gli scritti che segnarono l’inizio della sua seconda vita letteraria, quella di scrittore serio. Appartengono a questo periodo, ad esempio, Cargo (1935), Il testamento Donadieu (1937), Fauburg (1937). Da leggere se ci si vuole fare un’idea. E se non vi fidate di me, fidatevi almeno di Camilleri che ha incluso proprio questi titoli in una sua lezione sullo scrittore belga. Simenon a questo punto è cresciuto e vuole fare un ulteriore salto di qualità conquistandosi un posto tra i grandi del canone francese. Alla fine del decennio, ormai affermato e relativamente ricco, il Nostro giura di non scrivere mai più racconti polizieschi e di abbandonare per sempre Maigret. Qualcosa, però, si mette di traverso. Il suo editore Gallimard gli comunica che la carta costa (la guerra è alle porte e nel 1940 Parigi verrà occupata dai tedeschi), ma che la casa editrice farebbe volentieri uno sforzo in più se solo avesse un altro Maigret per le mani… Riluttante e con il dubbio di mettere a rischio la nuova immagine che si sta costruendo, Simenon cede e negli anni successivi resuscita il suo fortunato commissario… e anche qualcos’altro.
Ed è a questo punto che arrivo io. Essendo curiosa (ogni lettore in fondo lo è) ed essendo abituata al Simenon duro di Cargo, Il clan dei Mahé (1945),Tre camere a Manhattan (1946), Il piccolo libraio di Archangelsk (1956) e di Le campane di Bicêtre (1962), mi lancio ignara ma fiduciosa nella lettura di L’uomo nudo e altri racconti, tre storie scritte tra il 1938 e il 1940 (proprio dopo il caldo invito di Gallimard) recentemente riproposte da Adelphi, impegnata da tempo nella ripubblicazione della titanica opera di Simenon.
Ebbene, mi è bastata qualche pagina per capire che avevo tra le mani il libro di un autore sconosciuto, o almeno un’altra faccia inedita di uno scrittore che nella mia testa pensavo di aver compreso. E invece, niente tragicità del quotidiano, niente ossessioni personali, niente solitudine, nessuna traccia di atmosfere psicologicamente opprimenti. Solo tre storie. Tre semplici storie di genere poliziesco. Personaggi rassicuranti, pieni di difetti molto umani, alle prese con casi da risolvere. E poi un abile gioco di cliché. La Parigi umida e fredda, le ballerine di un locale, i caffè con uomini che leggono il quotidiano comodamente seduti ai tavolini, il fumo di una pipa, la femme fatale, un medico di campagna che non dice proprio tutta la verità, la pazza che in realtà non lo è, amori negati, travestimenti e via dicendo. Tutto il campionario mostrato con maestria e mestiere al lettore.
“Ma che roba è?”, mi dicevo continuando la lettura. “Dov’è il mio Simenon?”. “Chi è questo autore che vuole bene ai suoi personaggi, è quasi affettuoso con loro e con il lettore?”. “Dov’è quella fredda e spietata grandezza?”. “Cosa sono queste storielle?”.
Poi sono arrivata all’ultima pagina, ho chiuso il libro e ho fatto diverse ricerche scoprendo tutto quello (e anche di più) che vi ho raccontato fin qui. Le mille vite di un scrittore nato come giovane cronista alla fine della prima guerra mondiale. Uno scrittore insaziabilmente curioso che si è inventato il suo personale apprendistato scrivendo, scrivendo, scrivendo e ancora scrivendo. Di tutto. Un grande nome della letteratura che nonostante le ambizioni legittime che coltivava teneva i piedi per terra e non dimenticava di essere anche un intrattenitore. Una penna al servizio di un pubblico che, proprio per questo, lo adorava e lo adora ancora oggi.
L’uomo nudo e altri racconti, in effetti, è puro intrattenimento. Consigliatissimo a chi vuole imparare a scrivere i dialoghi strizzando un occhio allo schermo. È un efficacissimo spin-off di Maigret in cui Simenon mescola gli stessi ingredienti ma con una voce più scanzonata. Non c’è il grande commissario, ma il suo ex braccio destro Torrence che si è messo in proprio fondando la rinomatissima Agenzia investigativa “O” in Rue du Faubourg Montmartre. Ad affiancarlo nella risoluzione dei casi è il giovane e dimesso, ma solo in apparenza, Émile, che si rivela essere la vera testa pensante dell’agenzia. Niente toni esasperati o psicologia profonda. Uomini semplici alle prese con il mistero di turno.
A prevalere qui è un tono di voce, affettuoso verso le sue creature, gli investigatori e i galoppini che li accompagnano. È un Simenon affabile che sfoggia un po’ di humour e persino una insolita vena sentimentale. È insomma un Simenon che si diverte! Che poi, in fondo, è quello che conta ed è quello che ogni tanto anche noi lettori chiediamo. Giusto per staccare la testa da altro.
[1] Un’ora con Georges Simenon. Intervista di Ettore della Giovanna (1963) RAI – Da YouTube