Nel corso di quest’anno sto procedendo, complice un panorama di novità editoriali niente male, nella mia personalissima riscoperta di quegli autori, magari un po’ di nicchia, che hanno avuto un ruolo importante nella letteratura di genere. L’ultimo letto di questa serie è Il grande giorno dell’americano Jack Ritchie, maestro del racconto noir e delle detective stories.

Se è vero che la modestia è la virtù dei mediocri il nostro Jack doveva essere un tipo che mediocre non lo era affatto. Dichiarò infatti che tutti i romanzi possono essere trasformati in short stories, e che nelle sue mani I Miserabili sarebbe diventato un pamphlet. Ad un suo personaggio è invece attribuita la considerazione che Guerra e Pace si potrebbe scrivere anche sul retro di una cartolina. La frase su I Miserabili che ho citato è riportata anche nel risvolto di copertina del libro e appena l’ho letta ho pensato più o meno “ma guarda tu questo!”. Sono naturalmente attratto dai personaggi un po’ sopra le righe e che non temono di spararle grosse, siano essi letterari o meno, ed è quindi con una certa dose di scetticismo misto a parecchia curiosità che mi sono approcciato alla lettura de Il grande giorno, l’ultima delle sue raccolte da poco arrivata in casa MarcosyMarcos. Vi anticipo subito che l’esperienza non mi ha lasciato per nulla deluso.
Ritchie (All’anagrafe John George Reitci, classe 1922) nel corso della sua carriera ha sfornato una quantità incredibile di racconti brevi (circa 500!), spesso pubblicati su celebri riviste come l’Alfred Hitchcock’s Mystery Magazine o l’Ellery Queen’s Mystery Magazine (come i Vedovi Neri del nostro Asimov, ve li ricordate?). Hitchcock stesso era un grande fan dell’autore e fu il racconto A new leaf (non incluso in questa raccolta) ad essere il soggetto per la sceneggiatura del film È ricca, la sposo e l’ammazzo.
I racconti di Ritchie seguono spesso uno schema simile, abbiamo un protagonista, non di rado il cattivo della situazione, che racconta la vicenda ingarbugliata in cui si trova. Proprio quando le cose sembrano virare verso un prevedibile finale, l’autore ci spiazza con una trovata che ribalta completamente l’equilibrio delle situazioni.
L’attenzione ad ogni dettaglio e zero spazio per i tempi morti fanno sì che questi racconti oltre ad essere concisi siano adrenalinici e molto coinvolgenti. Prendiamo ad esempio l’incipit di L’assenza di Emily:
Suonò il telefono e alzai il ricevitore. «Sì?»
«Ciao amore, sono Emily».
Esitai. «Emily chi?».
Fece una risatina. «Oh, andiamo, amore. Emily, tua moglie».
«Mi spiace, deve aver sbagliato numero». Riagganciai armeggiando un po’ per rimettere a posto la cornetta.
Millicent, la cugina di Emily, aveva osservato la scena. «Sei bianco come un lenzuolo».[1]
In sei righe ci sono già tutti gli elementi per conquistare l’attenzione del lettore, che non può far altro che proseguire nella lettura per vedere come va a finire. Non di rado a lettura ultimata viene la tentazione di rileggere di nuovo da capo il racconto, per gustarlo in maniera diversa alla luce di quanto scopriamo con i colpi di scena finali. Leggendo non ho potuto fare a meno di provare una sincera ammirazione per i protagonisti di alcuni racconti e per le loro trovate (e di riflesso quindi per l’autore) che in due pagine spiegano le loro trame con sorpresa e stupore di chi legge. Gli amanti di Sherlock Holmes sanno che il momento migliore dei suoi romanzi è quando il detective di Baker Street inchioda con una spiegazione lucida e razionale i criminali alle loro malefatte, tirando tutti i fili dell’intreccio pazientemente costruito dall’autore fino a quel momento.
Leggendo Il grande giorno ho provato la stessa identica sensazione di soddisfazione, con in più una buona dose di leggerezza. Infatti le storie di Ritchie non lasciano molto spazio all’approfondimento di tematiche complesse, o ad empatizzare con personaggi dalla psicologia profonda, cosa che sarebbe forse difficile in un racconto di tre pagine. L’autore stesso sembra non volersi prendere troppo sul serio, e giocare con il lettore rendendo ben evidenti tutti i meccanismi narrativi che permettono ai racconti di funzionare così bene. Come a dire: “Siete qui perché volete una bella storia noir. Sedetevi e allacciatevi forte, che al resto ci penso io”.

Uomini d’affari senza scrupoli, detective privati in trench, scintillanti abitazioni che nascondono oscuri segreti, intrighi di famiglia e molto altro sono quello che vi aspetta se leggerete i racconti di Ritchie. Ci sono insomma un po’ tutte le caratteristiche che ci aspetteremmo da un classico noir, l’autore ha dichiarato di amare il lavoro di scrittori come Agatha Christie e Raymond Chandler, che hanno certamente contribuito a influenzare il suo lavoro. Ma anche quando si avventura al di fuori delle ambientazioni canoniche del genere il nostro non se la cava affatto male. Uno dei racconti che mi hanno divertito di più Bon appetit, captano è una satira riuscitissima della Russia sovietica e del suo complesso ed insensato sistema burocratico.
Come in tutte le raccolte di racconti naturalmente la qualità del materiale che compone il grande giorno è eterogenea, e accanto a racconti ben riusciti e davvero avvincenti ce n’è anche qualcuno che risulta un po’ troppo forzato e un tantino prevedibile, soprattutto una volta che si comprendono i meccanismi che Ritchie usa. Nonostante questo consiglio assolutamente la lettura a tutti gli appassionati del genere, e a chi cerca qualcosa di leggero per staccare un po’ la spina dai problemi di tutti i giorni.
I mesi estivi incombono, mica vorrete portarvi Dostoevskij sulla spiaggia no? Anche se una versione da cartolina in stile Ritchie magari…
[1] Jack Ritchie, “L’assenza di Emily” in “Il grande giorno”, MarcosyMarcos, 2018 (p. 33).