«Help America Love Again». È con questo auspicio che Viet Thanh Nguyen, scrittore vietnamita naturalizzato americano, chiude l’introduzione a It occurs to me that I’m America[1], la raccolta di racconti nata come risposta ad uno degli eventi più controversi avvenuti nella storia recente degli Stati Uniti: l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
La raccolta è stata pubblicata dall’associazione American Civil Liberties Union (ACLU), molto famosa negli Stati Uniti per le sue celebri battaglie giudiziarie a difesa dei diritti civili, delle libertà individuali e delle minoranze etniche. Purtroppo già durante la campagna elettorale di Trump era chiaro a tutti la direzione conservatrice e a tratti xenofoba che avrebbe preso l’amministrazione americana in caso di vittoria e questa raccolta è una delle tante iniziative portata avanti da intellettuali e scrittori a difesa dei diritti sanciti dalla Costituzione americana.

Molti sono i nomi famosi presenti, da Michael Cunningham a Neil Gaiman, insieme a Joyce Carol Oates e Elizabeth Strout, e nucleo tematico del libro sono le difficoltà vissute dagli immigranti di prima e seconda generazione nella loro quotidianità: la lingua, l’assimilazione delle tradizioni del nuovo Paese così come il racconto di tutte quelle occasioni sociali che diventano pretesto per rimarcare la condizione di isolamento e diversità dell’immigrato.
Le storie ruotano intorno alla vita reale nelle piccole città e raccontano di come il rafforzamento di un certo pensiero razzista abbia reso difficile il processo di convivenza tra diversi gruppi razziali.
Il processo di naturalizzazione, ad esempio, lo spiega molto bene Viet Thanh Nguyen nella sua introduzione raccontando il suo arrivo negli USA dal Vietnam, la sua solitudine quotidiana e i genitori che dovevano lavorare tutto il giorno e non avevano il tempo per insegnare a lui l’inglese. Racconta anche la sua educazione personale e i libri della biblioteca pubblica che gli hanno permesso di imparare l’inglese e arrivare a vincere nel 2016 il premio Pulitzer con il suo romanzo d’esordio Il Simpatizzante[2]. Da ricordare tra l’altro che proprio uno dei primi tweet dell’amministrazione Trump è stato «ridiamo il Pulitzer agli Americani», nel caso il messaggio durante la campagna elettorale non fosse ancora chiaro.

Consiglio di leggere questa raccolta perché restituisce una visione verosimile delle molte sfaccettature della “vita da immigrati”, lontana da quella esperienza idilliaca che spesso accompagna alcuni servizi in tv che mi capita di vedere.
Nel primo racconto di Julia Alvarez, ad esempio, la protagonista, una ragazza dalla Repubblica Domenicana, viene presa in giro dai suoi compagni di scuola per la sua pronuncia inglese, un disagio vissuto molto spesso dai non madrelingua. La madre della ragazza cerca con tanta tenerezza di stemperare l’accaduto dicendole che i suoi compagni cercano di spronarla a parlare a meglio, ma in realtà, come nel caso di Viet Thanh Nguyen saranno i libri della biblioteca a salvarla, non i suoi compagni.
Tra i tanti racconti, a toccare il mio nervo scoperto da immigrata è stato quello di Elizabeth Strout, che ha il merito di illustrare bene le categorie sociali nelle quali rientrano gli immigrati. Etichette che ne definiscono il destino ineluttabile. Il personaggio principale del racconto è un immigrato che viene chiamato a scuola da tutti “Frenchie”, un appellativo che non circoscrive solo le sue origini, ma anche il suo destino: il nomignolo Frenchie si riferisce infatti anche alle condizioni economiche della sua famiglia, troppo povera per potersi permettere di mandare il figlio al college.
Seguendo questo filone di “etichettatura”, gli italiani vengono spesso associati a categorie lavorative umili che non vanno oltre il personale addetto alle pulizie, circostanza vissuta anche da me di recente. L’ultima volta proprio un paio di mesi fa in un ristorante tedesco parlando con il proprietario. Dopo avergli raccontato che mi ero trasferita perché avevo trovato lavoro qui, lui molto ingenuamente mi ha chiesto: “per quale ditta delle pulizie?”. Non gli era proprio venuto in mente che da un paio di generazioni anche in Italia abbiamo i nostri laureati. Nel loro immaginario, invece, viaggiamo ancora con le valigie di cartone. Tra parentesi io nella vita sono un Fisico medico e maneggio acceleratori.
Tornando a It occurs to me that I’m America, tra le sue pagine leggiamo anche delle lotte che avvengono tra gli stessi immigrati. Joyce Carol Oates narra di come i tradimenti possano avvenire anche in famiglia, perché quando sei immigrato è molto più facile che tu finisca a vivere ai margini della società con un lavoro mal retribuito, in una sorta di esilio sociale dato dalle tue origini. Non avevo mai letto nulla della Oates ma credo proprio che la recupererò a breve anche perché il suo racconto è a mio parere il migliore della raccolta.
Concludendo, anche se il mio giudizio su questo libro è condizionato dal mio vissuto personale, penso che il tema sia molto attuale e che riguardi tutti, non solo chi arriva in Italia con i barconi, ma anche quelli che come me hanno deciso di andare via. It occurs to me that I’m America merita quindi di essere letta perché contiene tutti i sentimenti e i pensieri legati al grande tema dell’immigrazione: odio, nostalgia, tristezza, sensi di colpa. Riesce inoltre fornire al lettore molte chiavi di lettura per interpretare il disagio che si prova quando i propri diritti vengono messi in discussione.
It occurs to me that I’m America è anche, e forse soprattutto, un manifesto per chi spera ancora che gli Stati Uniti, e non solo gli Stati Uniti, possano tornare ai valori fondanti: alla libertà, al rispetto reciproco e all’amore. Appunto, Help America love Again!
[1] “It occurs to me that I’m America”, AA. VV. Touchstone Books, 2018
[2] “Il Simpatizzante”, Viet Thanh Nguyen, Ed. Neri Pozza, 2016
Bellissimo articolo. Grazie. Non sapevo di questa raccolta.
Grazie mille Angelo 🙂