Guida alla notte per principianti è una raccolta di racconti di Mary Robison, edita per la prima volta nel 1983 ma arrivata in Italia solo il mese scorso, per i tipi di Racconti Edizioni e la traduzione di Sara Reggiani. L’autrice si inserisce nel filone, o nella scuola se vogliamo, del minimalismo americano, anche se come ricorda Rossella Milione nella postfazione all’edizione nostrana, quella del minimalismo è un’etichetta che a Mary Robison sta stretta, e che l’autrice trova riduttiva e limitante rispetto alla sua opera.

Rigetto quindi la definizione di minimalismo, in omaggio all’autrice, e uso questo termine solo per dare un’idea di quello che il lettore si trova davanti una volta aperto il volume: inizio in medias res, nessun finale vero e proprio, ma solo schegge e frammenti delle vite dei protagonisti che l’autrice ci vuole raccontare, personaggi tratteggiati benissimo e vivi, anche se solo per lo spazio di poche pagine o poche righe. Protagonisti delle storie sono cittadini comuni, appartenenti alla working class o alla middle class americana, che vivono esistenze più o meno complicate, ma in un certo senso banali nella loro mancanza di straordinarietà. Cittadini qualunque insomma, nessun supereroe o personaggio dalle facoltà fuori dall’ordinario. Leggendo Guida alla notte per principianti ho trovato che molte delle storie raccontate sono accomunate da un sentimento di malinconia se non di vera e propria tragedia, che cova sotto la cenere. Nella già citata postfazione Rossella Milione scrive, riferendosi ai racconti, di «increspature in un bicchiere d’acqua»; utilizzo anche io una metafora acquatica che mi pare appropriata: avete mai provato a guardare il fondale di un lago stando su una barca in superficie? Se ci si concentra sulle profondità sotto di noi capita di avvertire un senso di inquietudine, quasi di pericolo in agguato, anche se in apparenza sembra tutto tranquillo e sereno. Leggere un racconto di Mary Robinson fa provare le stesse sensazioni.
Rapporti genitori/figli, rapporti di coppia o tra fratelli: sono i rapporti ad essere spesso protagonisti dei racconti di Robison, rapporti dall’apparenza magari tranquilla, ma che nascondono sotto la superficie frustrazioni, insicurezze e una certa dose di malinconia.
«Stavolta mi sa che ho toccato il fondo, papà. Mi sfugge tutto di mano. Sono fradicio, intanto. E mi sa che ho un caso da ambulanza in bagno. un disastro» disse Allen.
All’altro capo del filo ci fu un lungo silenzio. […]
«Allen?» disse la voce. «Hai idea di come mi fai sentire?»
«Sì, sì» disse Allen, e buttò giù il telefono.
Questo scambio è tratto dal racconto Lo conosci Charles e mi pare esemplificativo, oltre che della dimensione che acquisiscono i rapporti famigliari in queste storie, di come appaiono i dialoghi in cui ci si imbatte leggendo: battute serrate, spesso caustiche ma che colpiscono il lettore proprio per la loro immediatezza. Ancora un esempio dal racconto Sveglia dove a discutere sono una donna e suo fratello, che si rivolgono Phil, lo scapestrato fidanzato di lei:
[…] Io respiravo a denti stretti. «È solo che la gente, be’, non la fa una cosa che non vuole fare. E non può essere ciò che non è.» «Il favore più grande» disse Jackie «che puoi fare a questo bambino, e a sua madre, è capire questo.»

Nelle storie di Mary Robison si percepisce anche un senso di solitudine, anche quei personaggi che sono circondati da affetti, e talvolta anche concretamente aiutati da questi ultimi, sono spesso alle prese con un qualche conflitto interiore che li tiene in qualche modo isolati, e lontani da quelli che gli stanno attorno. Non mancano talvolta però, anche attimi di lucidità, e se non proprio di speranza almeno di visione consapevole delle cose che circondano i protagonisti dei vari racconti. Nel già citato Sveglia leggiamo:
Dal mio letto intravedevo un angolo della chiesa attraverso una finestra laterale. Mi appariva nera e minacciosa, ma intrisa di significato. Decisi che non me ne sarei andata dall’Augusta. Per un po’ forse Phil sarebbe tornato a trovarmi. Forse Jackie sarebbe rimasto. Sarebbe passata Mrs Dixon, e presto o tardi avremmo chiacchierato piacevolmente, o mangiato un boccone insieme. Oppure no. Se non era lei sarebbe stata un’altra Mrs Dixon. Un altro Phil.
Mentre l’ultimo racconto della raccolta si intitola Guarda che roba e si chiude invece con queste parole: «Sorrideva come se amasse tutti i ragazzi del mondo e fosse orgoglioso di ciascuno di loro, perfino del mio. Sorrideva come se amasse anche me. Lo lasciai entrare, tutto quell’amore così facile.»
In definitiva oltre che un esempio di uso eccellente della parola scritta e di come con poche battute e poche immagini ben dosate si possano creare delle storie magnifiche che catturano l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina, i racconti di Guida alla notte per principianti sono un esempio di quello che cerchiamo noi di Tre Racconti nelle storie che leggiamo e pubblichiamo: una voce chiara e limpida che sappia conquistarci.