Una lettura attorno a un sentimento nascente. Su “Le ripetizioni” di Giulio Mozzi

Da queste parti, di solito, si parla di racconti. Se abbiamo esplorato altri territori, lo abbiamo fatto per osservare più da vicino quel tipo di opere musicali o cinematografiche che, a nostro modo di vedere, avevano stretti legami con le forme brevi. E così abbiamo scritto di canzoni e film ma, a quanto mi risulta, non abbiamo mai parlato di un romanzo. Le ripetizioni di Giulio Mozzi mi sembra il libro ideale per analizzare un’opera letteraria dall’ampio respiro, che tuttavia ha diversi punti di contatto con alcuni aspetti strutturali e stilistici propri delle forme brevi.

Che il romanzo Le ripetizioni di Giulio Mozzi possa avere alcuni aspetti in comune con una raccolta di racconti, da un certo punto di vista, non è una sorpresa. Fin dal libro d’esordio, Questo è il giardino, pubblicato nel 1993 da Theoria, Giulio Mozzi ha esplorato le possibilità delle forme brevi ponendosi, nel panorama letterario italiano contemporaneo, come un singolare autore di sole short stories. I racconti di Mozzi, in genere, esplorano le anse più profonde e contorte dell’animo umano, mettendo in discussione la memoria e affondando la penna nel mal di vivere e nell’inquietudine. I personaggi di Mozzi, di solito, sono messi di fronte a vuoto, a un baratro generato da una mancanza. E quella mancanza genera a sua volta un movimento, una spinta verso la ricerca o verso l’incontro con la verità.

Guardando alla superficie del romanzo di Giulio Mozzi, le tematiche appena elencate tornano, si amplificano e si mescolano con le immagini crude e disturbanti che hanno spesso caratterizzato la produzione narrativa dello scrittore padovano. Queste ultime, in particolare, rischiano di essere l’ombra che rimane impressa nelle retine del lettore che ha appena chiuso il libro. Tuttavia, a mio parere, una volta chiuso il libro, conviene assecondarne il titolo e ripartire dall’inizio (o comunque conviene ritornare per un attimo nel cuore del testo) prima di riporlo sugli scaffali della propria libreria. La ripetizione del percorso di lettura non genererà preziose sorprese sulla trama che, seppure frammentata, rimane piuttosto semplice da seguire: un uomo che ha (o sembra avere) almeno tre vite parallele sta cercando di mettere in ordine alcuni tasselli della sua esistenza. Una trama piuttosto comune, soprattutto nel contesto degli scrittori italiani nati tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. La differenza del libro di Mozzi da altri libri che, a grandi linee, possono avere trame simili è costituita dall’aspetto strutturale. Giulio Mozzi ha costruito un testo che muove da una traccia familiare, limpida, esistenziale, per approdare a una profonda riflessione, o discorso, intorno alla stessa costruzione di un’opera.

Con la coda dell’occhio

È davanti agli occhi del lettore fin dalle prime pagine, ma il rischio è quello di non prestarci subito la giusta attenzione. Messa lì, accanto all’indice, la riproduzione del dipinto di Claudio Laudani, Discorso attorno a un sentimento nascente, sembra soltanto una curiosa scelta di Giulio Mozzi. Probabilmente, fintanto che lo stesso romanzo s’intitolava come l’opera di Laudani, la relazione tra quadro e opera letteraria poteva apparire più limpida e diretta. Ma conoscendo la raffinata attenzione ai dettagli che caratterizza lo stile e la produzione letteraria di Mozzi, è comunque palese che quell’immagine sarà un elemento che tornerà all’interno del testo. Tuttavia, nonostante cerchi sempre di ragionare intorno alle scelte artistiche degli autori o delle autrici, questa volta i miei occhi sono colpevolmente scivolati oltre la riproduzione del dipinto di Laudani per lasciarsi incantare dalla prosa ipnotica del primo capitolo.1

Ma torniamo al quadro. Mozzi riporta così la genesi del dipinto di Laudani e del suo titolo:

Non mi ricordo esattamente il giorno e l’ora e il punto, e essere sinceri nemmeno l’anno (direi il 2000 o giù di lì), ma un bel giorno mi ritrovai a casa di Claudio Laudani, pittore. Lo guardavo lavorare. Claudio aveva preparato un fondo scuro, petrolio, su una tavola di compensato; e in quel momento ci stava facendo sgocciolare sopra degli altri colori: rosso, giallo, non so più se altro. Faceva colare il colore, muoveva la tavola, faceva andare il colore di qua e di là. Ora, io sono sicuro che se facessi qualcosa del genere riuscirei al massimo a ottenere un insieme di macchie – o, più probabilmente, un pastrocchio confusamente monocromo. Invece Claudio, con questa tecnica – lui la chiama “dripping”, appunto sgocciolamento – riesce a fare cose che a me sembrano meravigliose. Quando apparve la figura che vedete qui sotto io uscii di testa. Intanto bloccai Claudio, che stava per fare altri interventi sulla tavola. Gli feci anche delle minacce, credo. Poi cominciai a parlare, e parlai – con Claudio che stava fermo ad ascoltare – per almeno mezz’ora. Poi me ne andai, tutto scombussolato. Qualche tempo dopo (giorni? mesi? e chi si ricorda?) Gualtiero, che di tanto in tanto fotografava i lavori di Claudio, mi fece vedere la fotografia di quella tavola lì; e mi disse che il titolo era Discorso attorno a un sentimento nascente. “Bel titolo”, dissi, “ma è strano: Claudio non dà mai ai suoi lavori dei titoli così”. “Lui dice che gliel’hai dato tu”. Da parte mia, nessun ricordo: e non ho motivi per dubitare della memoria di Claudio o di Gualtiero.1

Questa scena, vedremo tra poco, è trasposta nella finzione delle Ripetizioni e ne assume un ruolo centrale. Ma prima di capire perché, a mio modo di vedere, risulta centrale, occorre allenare ancora un poco lo sguardo periferico e andare alla quarta di copertina. Nell’edizione Marsilio del gennaio 20212, la “quarta” riporta questo brano:

Questa mattina alle otto ho visto la mia anima. Ero nel bagno della casa di Bianca e mi stavo lavando i denti. Mentre sputavo l’acqua ho avuta la sensazione che ci fosse qualcuno dietro di me. Ho alzato gli occhi e mi è sembrato di vedere nello specchio un movimento grigioargenteo, lucente, che si ritirava dietro le mie spalle. Mi sono voltato di scatto, e non ho visto nessuno.

Qual è la relazione fra il Discorso attorno a un sentimento nascente e questo brano? La capacità di cogliere, di sponda o con la coda dell’occhio, una rivelazione. Se Mario, il protagonista del romanzo, crede di aver visto la sua anima nello specchio del bagno – anima che peraltro scompare subito, affogata dalla luce della realtà quotidiana – nel quadro del pittore Gas è possibile che riemerga, dagli abissi della complessità, nitida e lucente, quella stessa anima luminosa. L’occhio di Mario è allenato alla visione periferica, lo sappiamo dal brano appena riportato e così, nel momento in cui il suo amico Gas sta dipingendo proprio quello che sarà il Discorso attorno a un sentimento nascente, nel momento in cui Gas sta valutando delle modifiche al suo quadro, è Mario a intravedere per primo, con uno sguardo guidato dall’istinto, la compiutezza dell’opera:

Gas io mi posso sbagliare, mi sbaglio, come tutti, ma secondo me questo ti è venuto proprio bello. Proprio bello. E va bene così. Non rovinarlo lavorandoci ancora.

Quello che mi è parso di notare, in questa frase appena riportata, è una sorta di resa, anzi, una sorta di accettazione della resa. Mario/Giulio Mozzi ferma il Gas/Claudio Laudani a opera in corso perché ha intravisto un equilibrio, ha intravisto il momento esatto in cui il percorso creativo è compiuto. Potrei andare oltre, ma preferisco fermarmi qui, perché altrimenti rivelerei qualcosa di troppo importante riguardo il finale. Mi permetto soltanto di suggerire, qualora leggeste il libro (o lo rileggeste): pensate all’ultimo capitolo come una resa con tutti gli onori all’equilibrio, non come una capitolazione di fronte a un’opera che pareva sfuggire dalle mani dell’autore.

La vita come frammenti riflessi

E i racconti? Dov’è la relazione tra le forme brevi e questo testo di trecentocinquantacinque pagine? Il fatto che ogni capitolo si intitoli “Storia di/Storia del/Storia delle” lo configura come una raccolta di racconti mascherata? No, naturalmente no.

Il rapporto tra le Ripetizioni e la forma breve è tutta nella scelta costruttiva operata dall’autore. Questo libro è in definitiva un romanzo, ma è un romanzo frammentato, costituito da testi/capitoli che per stile e unità hanno ciascuno a una propria rotondità, una compiutezza interna. Come uno specchio che è esploso in quarantuno pezzi, le Ripetizioni di Mozzi riflettono una moltitudine di prospettive sulla vita di un personaggio. Il protagonista è allora un uomo che posa nudo davanti allo specchio esploso. Ora c’è un occhio, c’è la pupilla dilatata di un uomo sereno, innamorato, vicino al matrimonio; ora c’è una nuca, ed è la nuca di un uomo che sembra il personaggio che abbiamo conosciuto un attimo fa, ma non ne siamo già più sicuri, potrebbe essere un abbaglio; ora c’è un sesso, e di quel sesso avvertiamo la forza generatrice e allo stesso tempo distruttiva; ora c’è una mano, e in quella mano riconosciamo il coraggio di affrontare la resa alla vita, al destino, alla stesura dello stesso romanzo.

Per ricostruire l’immagine dell’uomo, sembra suggerire l’opera di Mozzi, occorre lo sforzo dell’immaginazione. Ma esattamente come accade con la memoria (l’interrogarsi intorno al rapporto tra fatti accaduti e ricostruzione è un elemento che caratterizza soprattutto la prima metà del libro) l’immaginazione interviene per sparigliare le carte, per insinuare il dubbio, non certo per rendere nitida una verità.

E allora cos’è “realtà”3? Cos’è frutto dell’immaginazione? Quale faccia della medaglia stiamo guardando? Quale faccia della medaglia ci sta mostrando il personaggio? Se avviciniamo troppo il naso al testo è impossibile dirlo. Se ce ne allontaniamo, forse, possiamo affermare perfino che tutto è “reale” se lo accettiamo come opera d’arte.

  1. Tratto da Cronaca di un romanzo, 2. Articolo pubblicato da Giulio Mozzi sul suo blog Vibrisse. Nell’articolo potrete vedere anche una riproduzione dell’opera di Claudio Laudani.
  2. Lascio questa nota per le edizioni del futuro, confidando nella salvaguardia di questa citazione scelta per la quarta di copertina.
  3. Da intendersi come realtà nell’economia del romanzo, come realtà per il personaggio; non realtà in quanto fatti narrati che hanno una qualche relazione con la vita dell’autore.
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