[…] ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare
ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
alle loro borgate, tornano su motori
leggeri – in tuta o coi calzoni
di lavoro, ma spinti da un festivo ardore
i giovani, coi compagni sui sellini,
ridenti, sporchi. […] 1
Giorgio Ghiotti, classe 1994, scrittore poeta e giornalista è un autore emergente, che nonostante la giovane età ha già all’attivo la pubblicazione di diversi libri, divisi tra romanzi, raccolte di racconti, e di poesia; la raccolta Gli occhi vuoti dei santi è la sua ultima fatica letteraria, uscita alla fine dello scorso anno per i tipi delle edizioni Hacca.
Essere credibile, convincente, è la prima caratteristica che un buon personaggio di un’opera di narrativa dovrebbe avere, ed è proprio quello che riescono a fare i personaggi de Gli occhi vuoti dei santi che sono molto ben modellati e offrono spesso al lettore la capacità di immedesimarsi con le loro vite, problematiche e travagliate. La forza di questa raccolta sta proprio nei suoi personaggi, che sono e il punto a partire dal quale le storie vengono costruite. Ci sono storie di figli e del loro rapporto con i padri e con le madri, ci sono adolescenti, bellissimi e terribili come solo gli adolescenti sanno essere, divisi tra le prime esperienze sessuali, e le nuove consapevolezze di sé e del mondo che comporta la fatica di crescere.
Il resto lo fa la penna di Ghiotti, che con una prosa poetica ma che non manca di precisione riesce a descrivere sentimenti, emozioni e stati d’animo. Nel racconto La casa di via Bolivares ad esempio i protagonisti sono due fratellini, Christopher e Thomas, il primo che inizia a sperimentare invidia per delle particolari capacità del secondo, e che: «Arriva a desiderare per Thomas il fallimento, pure senza conoscere ancora quella parola e la sua portata di cattiveria umana».
Adolescenti e periferie
Giorgio Ghiotti è di Roma, ed è proprio la Città Eterna a fare da sfondo ad alcune delle sue storie. In Erbacce viene raccontata la vita di alcuni ragazzi di quelle periferie romane che sono, almeno nello spirito, l’evoluzione delle borgate di Pasolini. Questo racconto mi ha riportato alla mente l’immagine del Pianto della scavatrice, la poesia che ho riportato in esergo. Scrive l’autore invece: « Roma prima è città, e subito dopo non lo è più, subito dopo è un motorino abbandonato ai margini di una carreggiata, privato della sella, del parabrezza, di una ruota». Chiunque abbia frequentato le borgate romane non può che ritrovarsi in queste immagini, e nelle vicende dei protagonisti. Tutti vogliono scappare dalla periferia, tutti vogliono costruirsi una vita migliore altrove, Ghiotti ha saputo cogliere bene il sentimento di malinconia che lega i protagonisti al posto dove sono nati e cresciuti:
Presto o tardi se ne vanno tutti, questo l’ho imparato, non ci si può far niente. Funziona come con le madri, c’è l’amore viscerale e poi la ribellione e la fuga, c’è il taglio di un cordone ombelicale che prima nutre e poi non nutre già più, inietta veleno. La periferia è una madre che partorisce e consegna alla vita, eppure la vita vera è là fuori, qui arriva solo la vita riflessa, una promessa che all’ombra del gazometro non viene mai mantenuta.

Sempre adolescente, ma del quartiere borghese di Monteverde, è il protagonista di Santi Giorni, che crescendo inizia a sperimentare la propria sessualità (questo uno dei temi ricorrenti dei racconti di Ghiotti) diviso tra un profondo sentimento religioso e la scoperta di sé stesso e del desiderio per l’altro:
Chi guarda desidera. Lo imparai presto. Pensavo a lui mentre mi addormentavo nel buio. Dicevo: “Grazie Signore per questa felicità” col cuore gonfio di gratitudine. Una felicità semplice, totale, l’allegria dei fanciulli e dei folli che mette un motorino alle gambe, che fa partire senza temere per quello che ti lasci alle spalle.
Padri e madri
Ci sono gli adolescenti nei racconti di Ghiotti, e poi ci sono i loro padri e le loro madri. Il rapporto con i figli è conflittuale, di contrapposizione spesso velate di tenerezza e amore, ma anche, in alcuni racconti dai toni più grotteschi di lucida follia. In diverse misure tutti abbiamo sperimentato, crescendo, cosa significa entrare in conflitto con i nostri genitori:
Accettare di vivere con una sconosciuta fu il passo più duro. Elena era mia madre e non lo era. E in quella a me ignota sembrava così evidente l’allegria, talmente estrema la vita che decisi di mandare i giorni avanti come venivano, tenendola d’occhio da lontano quella madre bambina adorata.
Essere figli per me significa provare a perdonare ai nostri vecchi le loro mancanze, e imparare a convivere con qualcuno che, nella maggior parte dei casi almeno, sta facendo del proprio meglio per tirarci su:
Io vorrei sapere cosa sono i padri, invece, e dove stanno di casa e come ci vedono, se ci vedono, e come ci determinano, per quanto ci accompagnano, vorrei apprenderli per istinto, capirne il verso come in un pigiama da tirarne le maniche per metterlo a dritto, vederli bambini col fiocco grande della scuola per provarne tenerezza e lasciar andare la rabbia, l’odio per le loro debolezze, per le loro mancanze.
Temi e situazioni ritornano e ci vengono riproposti più volte, in più di un racconto c’è una perdita a minare i rapporti in famiglia, o un qualche altro tipo di ombra che scaccia in qualche modo la serenità. Ma i racconti de Gli occhi vuoti dei santi non sono mai ripetitivi, piuttosto il tornare a insistere su certi temi permette di approfondirli da diversi punti di vista, senza scadere in scenari scontati o forzati.
Giorgio Ghiotti non trascura nemmeno di far sentire la voce di queste figure genitoriali, non meno complesse e problematiche dei figli che hanno messo al mondo:
Quando Christine era nata, la madre si era detta pronta ad accoglierla nella sua vita. Sinceramente pronta. A lungo si era allenata all’allegria, perché i figli portano allegria. Non è vero. I figli portano quello che capita. A volte una malinconia felice, altre una tiepidezza simile all’indifferenza. Altre ancora un fastidio.
Leggendo questi racconti si sente che la voce narrante è quella di un poeta. Nel corso della lettura si viene spesso piacevolmente sorpresi da immagini che riescono ad essere delicate e dense di significato al tempo stesso, e soprattutto non banali, proprio come una buona poesia dovrebbe essere. Il libro di Giorgio Ghiotti si legge in poco tempo, sono meno di 200 pagine, ma è composto da quel tipo di storie a cui si torna a pensare nei giorni successivi alla lettura. Consigliato per gli amanti delle storie complesse seppur brevi, delle tragedie famigliari e della bellezza che si nasconde negli interstizi della vita di tutti i giorni.