
Yanjaa Wintersoul è una Grand Master of Memory o, detta più semplicemente e grossolanamente tradotta, una campionessa della memoria. È capace di memorizzare una quantità spropositata di immagini, volti, cifre e parole. Partecipa a diverse competizioni di livello internazionale e mostra le sua abilità in diversi show televisivi. Nel documentario La mente svelata, una serie uscita da poco su Netflix suddivisa in brevi episodi il cui scopo è darci un’idea di quali siano le principali funzioni della nostra mente, Yanjaa racconta come fa a memorizzare così tante cose in poco tempo. Dice, ad esempio, che quando deve memorizzare una serie di numeri associa ciascuna cifra a suoni, immagini e luoghi, associazioni talvolta strampalate ma che nel suo personale codice mentale prendono un senso ben preciso. Costruisce un suo paesaggio mentale, niente di diverso da una vera mappa con vie, incroci e luoghi di interesse. Così, cinquecento cifre scritte su un foglio in ordine sparso, per una campionessa come lei, diventano una sorta di passeggiata in un quartiere che conosce benissimo, durante la quale incontra un sacco di personaggi e situazioni strambe e in cui ognuno di questi dettagli corrisponde a un numero.
Dall’oscurità, Funes continuava a parlare. Mi disse che verso il 1886 aveva scoperto un sistema originale di numerazione e in pochi giorni aveva superato il ventiquattromila […] In luogo di settemilatredici diceva (per esempio) “Maximo Perez”; in luogo di settemilaquattordici, “La Ferrovia”; altri numeri erano “Luis Mellan Lafinur, Olimar, zolfo, il trifoglio, la balena, il gas, la caldaia, Napoleone, Agustin de Vedia”
Il viaggio mentale descritto da Yanjaa di fronte a una distesa di numeri mi ha in qualche modo ricordato la scena appena citata, contenuta nel celebre racconto di Borges Funes, o della memoria, presente nella raccolta di racconti Finzioni. Ma se per lei si tratta di allenare e migliorare tecniche mnemoniche per sviluppare un evidente talento allo scopo di vincere competizioni, per il povero protagonista del racconto di Borges, la memoria è una maledizione, una condanna.
Funes, o della memoria è la storia di Ireneo Funes, giovane di un paesino di campagna che, dopo esser stato travolto da un cavallo si ritrova paralizzato, e non solo: invece di risvegliarsi senza ricordare nulla né di sé stesso né degli altri, come nel più classico degli epiloghi in questo genere di storie, sviluppa una memoria feroce, infallibile. Da quel momento in poi, Ireneo non è più in grado di scordare nulla: ricorda ogni particolare di quello che vede, ogni singolo avvenimento di infanzia ed episodio si ripresenta nella sua mente con tutti i suoi infiniti dettagli.
La narrazione è sviluppata come il lungo ricordo delle due estati che l’autore aveva passato a Fray Bentos, il paesino del protagonista, e si divide in due momenti: antecedente all’incidente, quando avviene un primo fugace incontro con Ireneo, e pochi anni dopo l’incidente, quando, per via della restituzione di un libro, i due si trovano a parlare nella stessa stanza. È in quell’occasione, quando ormai è buio, che ci viene presentata la strepitosa capacità di Ireneo.
C’era una pergola; l’oscurità poté sembrarmi totale. Udii d’un tratto la voce alta e burlesca di Ireneo. Questa voce parlava in latino; questa voce (che veniva dalla tenebra) articolava con dilettazione morosa un discorso, o preghiera, o incanto […] poi, nell’enorme dialogo di quella notte, seppi che erano il primo paragrafo del capitolo ventesimoquarto del libro settimo della Naturalis Historia.
Il volume che Funes doveva restituire era, infatti, la Naturalis Historia di Plinio, che l’autore utilizzava per imparare ed esercitarsi con il latino.
Questo libro, che contiene tra i primi casi (forse i più mitici e leggendari storicamente accertati) di persone dalla memoria prodigiosa, era per altro realmente molto caro allo scrittore argentino, appassionato lettore di enciclopedie.
La potenza del racconto di Borges, che per sua stessa ammissione è una metafora dell’insonnia, disturbo del quale soffriva, e che lo costringeva a pensare continuamente, sta nell’affrontare quello che è uno dei misteri più grandi e fitti dell’essere umano, cioè il funzionamento della nostra mente, partendo da un punto di vista originale e diverso dal solito, cioè da colui che soffre per l’eccesso di memoria, invece che per la perdita di questa, tanto da considerare la paralisi un male trascurabile, tanto da dedicare le proprie giornate a cercare modi che lo aiutino a dimenticare, stando sempre in penombra, per evitare il più possibile di vedere il mondo. Ma è un tentativo vano, perché se non sono i dettagli, ci pensano i ricordi a tormentarlo.
Borges ci restituisce l’immagine di Funes attraverso una suggestione triste e poetica, di rara bellezza:
Ireneo aveva diciannove anni; era nato il 1868; mi parve monumentale come il bronzo, ma antico come l’Egitto, anteriore alle profezie e alle piramidi.
Sono due uomini in una stanza, quasi completamente buia, nessuno dei due può vedere davvero l’altro, solo penombra e il tono tranquillo e desolato di un ragazzo giovanissimo ma che allo stesso tempo pare essere eterno, sembra stare in quella stanza da sempre, appesantito e affaticato dal fardello della storia, la troppa storia che non può fare a meno di ricordare, la sua e quella di tutto ciò che gli sia mai capitato di vivere e guardare: «Ho più ricordi io da solo, di quanti non ne avranno avuti tutti gli uomini insieme, da che mondo è mondo».

Un’altra cosa interessante di questo racconto, è che si lega in maniera efficace alla scienza. È risaputo che Borges, oltre ad essere un uomo dalla cultura letteraria e filosofica vastissima, era anche molto interessato alle connessioni che queste avevano con il pensiero scientifico. Funes, o della memoria è un brano citato anche tra gli studiosi delle neuroscienze, proprio perché in questa storia è descritto magistralmente l’immaginario legato a tutta quella serie di domande riguardanti il funzionamento del nostro cervello che le neuroscienze stanno ancora cercando di scoprire.
E infatti è proprio partendo da questo racconto che il professore di bioingegneria e direttore del dipartimento di neuroscienze dell’università di Leicester Rodrigo Quian Quiroga, ha deciso di scrivere il libro divulgativo Borges e la memoria nel quale spiega, attraverso il racconto di casi studio e le scoperte più recenti, quali siano i meccanismi di elaborazione dei ricordi.
Quiroga spiega subito la stretta connessione tra le sue ricerche e il racconto di Borges:
Ebbi la fortuna di trovare dei neuroni nel cervello umano che rispondo in modo astratto, ignorando i dettagli di fatto questi neuroni sono quelli che producono la conversione di quanto percepiamo (vediamo, sentiamo e udiamo nel momento presente) in memoria a lungo termine, i cui ricordi potranno essere rievocati in futuro. Generando ricordi cerchiamo di astrarre, estrarre concetti. In generale preferiamo non memorizzare troppi dettagli, perché così facendo finiremmo come Funes.
Ed è proprio quello che sia Funes che Solomon Shereshevsky, protagonista del caso studio più interessante riportato da Quiroga nel suo libro, non riescono a fare.
Quello di Shereshevsky, paziente di Alexsandr Lurija, uno dei più rinomati psicologi dell’epoca che lo seguì a partire dal 1920 per i successivi trent’anni, è considerato il primo caso scientifico di memoria straordinaria, e rappresenta anche il perfetto parallelismo con il personaggio letterario Ireneo Funes.
Solomon era infatti in grado di memorizzare lunghissime sequenze di numeri, brani di libri in lingue che non conosceva e anche complicatissime formule matematiche completamente prive di senso. Riusciva poi a ripetere queste stesse sequenze a distanza di anni.
Come Funes, di cui Borges scrive: «Aveva imparato senza sforzo l’inglese, il francese, il portoghese e il latino, ma sospetto che non fosse molto capace di pensare», anche Shereshevsky aveva grosse difficoltà con il pensiero logico, nel formulare appunto concetti astratti e anche nella comprensione dei testi che leggeva.
È in ogni caso molto improbabile che Borges si fosse ispirato a questo caso dato che il suo racconto risale a circa venticinque anni prima che Lurija pubblicasse nel 1968 il suo studio, nel libro dal titolo Viaggio nella mente di uomo che non dimenticava nulla.
Chiudo con la bizzarra descrizione che Shereshevsky aveva fatto a Lurija per spiegargli quello che vedeva nella sua mente ogni volta che pensava ad un numero.
I numeri mi ricordano delle immagini. Prendiamo il numero 1: è un uomo orgoglioso e robusto; il 2 è una donna di ottimo umore; il 3 è una persona cupa (il perché non lo so); il 6 è un uomo con un piede gonfio; il 7 un uomo con i baffi; l’8 una donna molto robusta – un sacco dentro a un sacco. Per il numero 87 ciò che vedo è una donna grassa e un uomo che si attorciglia i baffi.