Barcelona Desnuda. Una città ritrovata in un gioco di specchi

Quando tempo fa arrivò nella mail di redazione la segnalazione dell’uscita di Barcelona Desnuda ammetto di non aver prestato molta attenzione. Mi sembrava un po’ fuori dall’usuale ambito di approfondimento di Tre racconti e troppo distante da ciò che di solito pubblichiamo sulla nostra rivista.

Poi, mesi dopo, ho incontrato per caso Amaranta Sbardella a una presentazione del suo libro ed è scattato qualcosa. Non solo perché a un certo punto ha detto «volevo che fossero racconti», ma perché mentre parlava della trasformazione di Barcellona da città industriale a paese dei balocchi per turisti io mi sono sentita molto ignorante e un po’ presuntuosa. Colpevolmente a digiuno di intere pagine di storia e di letteratura che lei con precisione e amore per il suo mestiere ha riportato alla luce in questo libro pieno di personaggi e di racconti. Così sono tornata a casa, ho letto Barcelona Desnuda appuntandomi autori e titoli da recuperare e qualche giorno dopo ho ricontattato Amaranta per farle queste domande.

Le risposte che leggerete di seguito offrono molti spunti per ulteriori riflessioni. Su come nascono i libri, sulle possibilità sperimentali che offre la forma racconto, sulla ricchezza quasi sconosciuta della letteratura catalana, sull’idea di viaggio e sul concetto di cambiamento quando in esso si intrecciano cultura, interessi economici e visioni politiche. E a proposito di questo, non poteva mancare un riferimento alla stretta attualità post referendum in una Barcellona che ancora una volta forse paga le conseguenze di un racconto mal costruito della sua storia e della sua identità.

Las Golondrinas, le tradizionali imbarcazioni da diporto di Barcellona (cartolina d’epoca) 

Allora Amaranta, ci racconti com’è nata l’idea di Barcelona Desnuda? Perché proprio Barcellona?

Barcelona Desnuda nasce per la collana «Scrittitraversi» di Exòrma edizioni, una collana originale che coniuga in modo intelligente il viaggio alla letteratura. Non ho seguito l’iter dell’invio di manoscritti perché è stato lo stesso editore, Orfeo Pagnani, a interessarsi alle mie esperienze nella città durante un Salone del libro di Torino. L’idea di Barcelona Desnuda è nata, quindi, quasi per caso, anche se dentro di me premeva da tempo l’urgenza di scrivere qualcosa su una città che amo profondamente. Così come è stato casuale il mio primo viaggio a Barcellona, più di dieci anni fa. E fortuito è stato pure il mio primo incontro con la letteratura catalana, quando trovai nella biblioteca di Siena, dove svolgevo un progetto di dottorato, un volume di Salvador Espriu, Ariadna al laberint grotesc. Quella lingua mi incuriosì e, una volta giunta a Barcellona proprio per il dottorato, decisi di impararla. Avrei poi tradotto il libro. Ciò nonostante, dopo quel primo viaggio sono tornata nella città innumerevoli volte: da turista, da studiosa, da testimone dei convulsi eventi che ha vissuto, come i moti degli Indignados, la turismofobia, l’attentato, il referendum. E l’ho vista mutare sempre di più, trasformarsi in parco giochi turistico, spogliarsi a volte della propria identità, della propria sofferta e intensa storia. Per questo sentivo il bisogno di raccontare una realtà perduta, quasi scomparsa, e forse mimetizzata in una pelle che non le appartiene nel profondo.

Presentando il libro a un certo punto hai detto: «volevo che fossero racconti». Perché hai optato proprio per una forma di narrazione breve e frammentata e non hai pensato a scrivere un romanzo (una forma sicuramente più vendibile…)?

Ho sempre ritenuto che i racconti, se ben scritti e costruiti, abbiano una forza e un’esaustività che non necessariamente il romanzo riesce a restituire. Ce lo insegna anche Julio Cortázar, quando afferma, con una metafora ricavata dalla boxe, che il «romanzo vince a punti, mentre il racconto vince per knock-out». Il racconto può condensare, alludere, intrigare e suggestionare. La sua frammentarietà mi permetteva di affrontare un arco cronologico più ampio e di dare voce, ogni volta, a personaggi diversi, affinché potessero muoversi in uno spazio e in un tempo delimitati e al contempo infiniti, spazio e tempo del ricordo e della memoria. E la formula chiusa del racconto mi ha concesso di sperimentare stili diversi, in un omaggio – molto personale – ai vari scrittori: ogni racconto ruota attorno a un periodo, a un percorso, a uno o più personaggi legati a un’opera, a un tempo, a uno spazio, a una specificità. Sono, in fin dei conti, come i tasselli smaltati del trencadís di Gaudí, che riverberano ogni volta un colore, una luce diversa. 

(cartolina d’epoca)

Barcelona Desnuda è un racconto polifonico; un racconto che viene fuori incrociando le voci e le storie di personalità varie, artisti, autori catalani e dei personaggi da loro creati. Grazie a loro si scava molto, si scopre e si riscopre. È stato complicato mettere assieme tutte queste voci?

Non posso certo negare che il lavoro sia stato gravoso, non tanto nella fase di scrittura quanto in quella di elaborazione e di ricerca, o di cernita. Perché dietro ognuno di questi dieci racconti si nasconde un progetto ben preciso. Quale autore poteva essere più rappresentativo? Quale sua opera poteva coinvolgere maggiormente il lettore? E, nel bilancio iniziale, si fondevano due necessità: richiamare opere già conosciute da un pubblico italiano e proporre testi meno noti o ancora non tradotti, affinché il lettore potesse immergersi in una realtà per lui nuova e incuriosirsi. A ciò si aggiungeva il bisogno, come ho già accennato, di calare il tutto in un’epoca, in una Barcellona diversa dalla città che conosciamo oggi. Eppure, una volta stabiliti e studiati i personaggi, i percorsi, i periodi storici, ho lasciato che le suggestioni parlassero, e la scrittura è emersa da sola, limpida e forte. Perché, non lo dimentichiamo, non è un’opera di saggistica o una guida letteraria: sono racconti che, di volta in volta, si nutrono del sentire di una persona, l’autore.

Anche la lingua che utilizzi è particolare. Cambia e si modella a seconda del punto di vista scelto: un gatto, un piccione, un poeta, una prostituta ecc. Spesso procede per accumulazione, con frasi nominali e a volte con elenchi di nomi e luoghi. Ci parli di questa scelta?

Mi risulta difficile rispondere alla domanda, perché dietro i vari e cangianti personaggi ci sono pur sempre io. Questo è un aspetto che è stato messo in risalto in più presentazioni, ma non ho mai saputo dare una risposta perché la scrittura è ovviamente un atto molto, troppo personale. Capita spesso anche a me di scrivere agli autori che traduco per chiedere lumi su alcuni aspetti del loro romanzo, e non sempre ricevo una risposta soddisfacente. Posso, però, affermare che dietro i diversi punti di vista si cela un’immedesimazione profonda nei personaggi. E che il mestiere di traduttore mi ha permesso di limare e di apprendere le varie sfumature di uno stile o di una voce.

Il viaggio in Barcelona Desnuda inizia con un antefatto: la fuga di alcuni personaggi dalle schede di catalogo conservate da un giovane stagista. Da quel momento in poi, storie vere e inventate si mescolano… Secondo te, quanto la letteratura o l’arte possono dirci della vita “vera”? La letteratura è ancora uno strumento di conoscenza?

Annosa questione. Quanto possono dirci? Molto, poco, niente, ma anche in quel “molto”si nasconde la rielaborazione letteraria della vita, che prende un’altra consistenza e verità se scritta sulla pagina. Non andrebbero mai confusi i piani, almeno a un livello teorico, credo; altro discorso è quanto la letteratura agisca sulla vita vera, stimolando, insegnando, incuriosendo. Credo che la curiosità sia la funzione chiave della letteratura: come traduttrice, scrittrice, docente, cerco sempre di far nascere, nel mio piccolo, la scintilla della curiosità, che poi potrebbe diventare passione, anche per la conoscenza. Non diverso è lo scopo alla base di Barcelona Desnuda: mi piacerebbe che i lettori tornassero a Barcellona con uno sguardo diverso o entrassero in libreria per leggere uno dei libri che cito. Che si aggirassero per le sue strade con lo scopo di scoprire una città scomparsa, o dimenticata, e che, colpiti da un personaggio o da un autore, decidessero di conoscerlo meglio. Per questo confondo la storia, la letteratura alla finzione pura, come poi fanno molte opere, soprattutto postmoderne. È un gioco di specchi, di rimandi e suggestioni, che può disorientare; tuttavia, se collocato all’interno della finzione, può spronare e far sorgere quell’humeur interrogeant di cui parla il critico Pierre Brunel.

Ci sono molte donne in questo libro. Ce n’è una in particolare alla quale sei affezionata? O magari un personaggio che oggi può dirci o insegnarci qualcosa nella fase storica che stiamo vivendo?

Vero, ci sono molte donne, ci tenevo a farle parlare. E credo di essere particolarmente affezionata ad alcune che compaiono nel racconto dedicato alle prostitute del Raval. Mi riferisco in particolare a Cecilia, che si ispira all’omonimo personaggio di Via delle camelie, di Mercè Rodoreda, e di Josefina, nata dalla mia penna a partire da una foto di Joan Colom. Ci mostrano la dolente umanità delle donne che sono costrette a concedersi, a lasciare da parte i propri sogni per umiliarsi di fronte alle richieste degli uomini o della società. Non ho la pretesa di insegnare, ma disvelare, e qui di mettere a nudo la fragilità di queste persone, che meriterebbero più comprensione e rispetto.  

Plaça del Diamant dove sorge la statua di Xavier Medina Compeny ispirata al personaggio della “Colombella” creato da Mercè Rodoreda (© Emiliano Maisto) 

A proposito di riscoperte, forse uno dei capitoli/racconti più intensi è “Barcellona sotto attacco”, che riporta a galla una delle pagine di storia meno conosciute (purtroppo): i bombardamenti sulla città di Barcellona a opera degli italiani nel 1939. Il racconto tra l’altro è liberamente ispirato a Incerta gloria di Joan Sales che tu stessa hai tradotto. In queste pagine si avverte una certa urgenza. Com’è stato scriverle?

Nel racconto, come negli altri, si sovrappongono più urgenze: da un lato narrare un momento storico, qui immensamente tragico; dall’altro portare alla conoscenza dei lettori il meraviglioso e profondo romanzo di Joan Sales, Incerta gloria, un classico della letteratura catalana e universale ancora mai tradotto in Italia e uscito da poco per Edizioni Nottetempo – lavorarci è stata un’impresa difficile, avvincente ma pure appagante, e chi lo leggerà avrà modo di rendersene conto. In realtà del romanzo di Sales compaiono solo due personaggi, il resto è pura invenzione. È frutto della mia fantasia pure il gioco del piccolo Ramonet, in cui i punti di questa sorta di “battaglia navale” sono, in realtà, i luoghi in cui cadono le bombe. Ho immaginato come potessero sentirsi i barcellonesi rinchiusi nei rifugi durante i bombardamenti, nei quali abbiamo avuto, ahimè, un ruolo cruciale, malgrado sia una pagina della Storia che si vuole dimenticare. Ebbene, i primi bombardamenti sui civili risalgono alla guerra spagnola, e noi abbiamo contribuito a uccidere almeno un migliaio di persone. La casualità vuole che sia i bombardamenti sia Incerta gloria siano quasi sconosciuti ai lettori italiani, ma sentivo il bisogno di parlarne in quest’occasione di dolorosa scoperta. 

I muri della chiesa di Sant Felip Neri con i segni del bombardamenti (© Emiliano Maisto)

Nel libro torniamo indietro nel tempo e assistiamo a una mutazione apparentemente irreversibile: da «città che dava le spalle al mare», con anima industriale e operaia, Barcellona diventa il centro turistico di massa che conosciamo oggi grazie alla cancellazione e alla riscrittura della propria architettura. Cos’è il cambiamento per te? Ce ne sono di giusti e di sbagliati?

A priori non sono mai contraria ai cambiamenti, se questi possono contribuire a una nuova maniera di vivere, se apportano e arricchiscono. Nel caso di Barcellona, le varie trasformazioni sono state dettate da logiche sempre diverse, alcune condivisibili, altre meno. Per questo mi sono permessa di criticare certe scelte urbanistiche o di stile, dettate spesso da interessi economici o turistici. La Barcellona della movida, delle sbornie, la Barcellona gaudiana delle visite lampo e superficiali… Non sono cambiamenti che valorizzano una città; al contrario, la sviliscono e la privano di quell’anima che si è incisa nei secoli e negli eventi. La ricoprono quindi di una patina finta, irreale, che scaccia e tiene lontani i barcellonesi, ormai spesso ostaggio delle orde di turisti o viveur. Ad esempio, dobbiamo immaginare la Rambla come un luogo di ritrovo per i locali, dove un tempo le coppiette andavano a spasso, gli anziani si sedevano sulle panchine, le famigliole compravano canarini o fiori. Ben diversa dalla marea umana che distrattamente vi si accalca, tra un selfie e un mojito. Scrittore e uomo lungimirante, Manuel Vázquez Montalbán aveva già previsto quanto sarebbe successo quando la città venne modificata e cementificata in occasione delle Olimpiadi del 1992. Senz’altro Barcellona ne ha guadagnato in termini di vivibilità, pulizia, razionalizzazione degli spazi, eppure anche lì le colate di cemento hanno riscritto e sepolto parte del suo tessuto, come nel Raval. Ebbene, vi invito a fare una sosta nella piazza intitolata al padre di Carvalho. Chissà se ne sarebbe stato felice! Non credo…

La Rambla (cartolina d’epoca)

Non posso non chiedertelo. Da osservatrice privilegiata, cosa ci puoi dire di ciò che sta accadendo a livello politico e culturale? Quali conseguenze sta avendo o potrebbe avere la corsa all’indipendenza della Catalogna?

Purtroppo in Catalogna si ripete un fenomeno che si è già verificato diverse volte. Non è certo questa la prima occasione in cui i catalani rivendicano la propria alterità rispetto alla Spagna, a partire da quel 1714 che segna la caduta di Barcellona e, assieme a lei, della Catalogna. Il “purtroppo” con cui ho apertola mia risposta rispecchia una profonda amarezza, non tanto riguardo le rivendicazioni dell’una o dell’altra parte, ovvero degli indipendentisti o dei nazionalisti, dei federalisti o degli unionisti. L’amarezza nasce piuttosto da una semplice constatazione: era, è, sarà necessario un dialogo. È forse avvenuto? Un esempio di facile comprensione, che rubo a un amico: se un membro di una famiglia vuole allontanarsi da questa perché si sente incompreso, non sarebbe bene mettersi attorno a un tavolo e ragionare con serenità? Non mi sembra che, nei giorni precedenti il referendum, il governo centrale abbia cercato di capire o abbia proposto una soluzione. Ha preferito intervenire con la forza. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il clima è teso, troppo, e siamo a un punto di non ritorno, anche con il nuovo governo. Con più accortezza si sarebbe potuto evitare tutto ciò. E al riguardo mi permetto una precisazione:purtroppo – quanti “purtroppo”! – in Italia non è stata spesso fornita una giusta lettura degli eventi. I catalani non sono leghisti, certamente. Basterebbe conoscere la loro storia per capirlo. La chiave è sempre e solo una: la conoscenza.  

Il quartiere di El Raval (© Emiliano Maisto) 

Qual è la tua Barcellona? Quali sono i posti del cuore? Dove porteresti una persona che la visita per la prima volta o che è in procinto di tornarci? Consigli culinari? (Noi di Tre racconti siamo di buona forchetta…).

Domanda più che legittima! Ce n’è per tutti i sapori e tutti i gusti! Ecco alcuni ristoranti di Barcellona, per voi e per i cari lettori: Pepa Tomate, Can Maño, El Petit Firo, Can Culleretes, La Fàbrica Moritz, La Paradeta. E non me ne vogliano gli altri che ora sono scivolati via dalla mia memoria. Lascio a voi la scoperta dell’ubicazione, ormai con Internet non c’è più nemmeno bisogno di scomodare i passanti. A me, lo confesso, piace entrare nei locali dimessi e mangiare il menu del giorno o gustare una buona coca – la nostra pizza, non fraintendiamo! O ancora sorseggiare una birra fresca in una bettola qualsiasi, in compagnia dei molti amici. 

Chiudiamo con i consigli letterari. Quale percorso proporresti a una persona che non conosce la letteratura catalana?

Credo che la letteratura catalana non abbia ancora ricevuto l’attenzione che giustamente merita, per diverse ragioni, storiche e editoriali. Senz’altro mi permetto di consigliare la lettura dei grandi scrittori in lingua catalana come Salvador Espriu, Mercè Rodoreda, Joan Sales e Llorenç Villalonga. Io comincerei con Mercè Rodoreda e i suoi unici e straordinari La piazza del Diamante, Via delle camelie o Lo specchio rotto. Poi mi abbandonerei agli interrogativi esistenziali di Joan Sales; mi rifugerei nell’intensa poesia catalana di un Espriu, un Carles Riba o una Maria Mercè Marçal, per esempio. O ancora mi perderei nei racconti di Joan Perucho, Pep Puig, e degli autori che troverete nella risposta successiva. In arrivo ci sono ancora molti bei libri, per fortuna.

E i racconti? Quali autori o raccolte ti hanno ispirata di più?

Come l’acqua che scorre – un’autentica meraviglia– e Fuochi, di Marguerite Yourcenar. Assieme a Elsa Morante, la Yourcenar è sempre stata il mio modello, di umiltà e scrittura. E ancora: i racconti, tutti, di Cortázar e Borges, di Felisberto Hernández, di Čechov e Poe, di Calvino. Non la finirei più. Nella letteratura catalana, Quim Monzó, Vicenç Pagès i Jordà, Sergi Pàmies, e molti altri. Alcuni di loro attendono di essere tradotti: speriamo che il mercato si apra sempre di più ai racconti. Grazie pure a un blog come il vostro!    

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