Per parlare di narrativa, questa volta, iniziamo con un appello (caduto nel vuoto).
Ho sentito alcuni cercare di negare l’evidenza dicendo che non sono scienziati e che non abbiamo abbastanza informazione per agire. Bene nemmeno io sono uno scienziato, ma, sapete, conosco un sacco di ottimi scienziati alla NASA, NOAA e nelle nostre maggiori università. I migliori scienziati del mondo ci stanno dicendo che le nostre attività stanno cambiando il clima e che se non agiamo con forza continueremo a vedere i mari che si alzano, maggiori ondate di calore, sempre più pericolose siccità, inondazioni e altre catastrofi di massa che potrebbero scatenare migrazioni, conflitti e fame in tutto il globo.
Era il gennaio del 2015 e Barack Obama, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, lanciava un appello a favore della lotta al riscaldamento globale parlando apertamente di «rischio immediato per la sicurezza nazionale».
Ora, affrontare il tema è molto complesso. Per comprenderlo davvero e in tutte le sue implicazioni occorre infatti far riferimento a nozioni di statistica, fisica e biologia. Conoscenze e informazioni che possono non essere a disposizione di tutti. Altro problema, e forse il più importante, è la scarsa efficacia comunicativa di chi si occupa di questo tema; escluso Al Gore che con il suo film An Inconvenient Truth è stato il primo e finora uno dei pochi a rendere attrattivi i numeri e i dati legati al riscaldamento globale.
Per nostra fortuna, però, esiste internet dove è possibile ricercare autonomamente articoli scientifici e scoprire iniziative che sensibilizzano e accrescono il grado di consapevolezza rispetto a questa emergenza. Tra queste è da segnalare The Best Climate Solutions, la piattaforma promossa dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici che da ormai cinque anni seleziona i migliori progetti sul tema. Per il 2018, tra l’altro, sono ancora in corso le votazioni (al vincitore andrà un premio di 3000 euro e chi vuole fino al 15 ottobre, può ancora esprimere la propria preferenza).
La notizia che interessa noi di Tre racconti, però, è che quest’anno tra le proposte arrivate in finale nella categoria “Education and Media” c’è anche una raccolta di dieci racconti dal titolo 2047. Short Stories from our Common Future, curata da una delle autrici, Tanja Rohini Bisgaard.
I racconti sono tutti ambientati nel 2047 e i dieci autori che la firmano provano a immaginare come sarebbe la nostra vita tra meno di trent’anni in condizioni di clima estremo, spaziando dal distopico al fantascientifico.
Ad aprire è Still Waters di Kimberly Christensen che immagina di un mondo senza più balene, estinte a causa del riscaldamento globale. La trama si snoda tra una spiaggia/cimitero dove si è suicidato l’ultimo branco di balene esistenti e l’ennesima epidemia che affligge la comunità locale. Due piani che si alternano e si intrecciano di continuo dimostrando come le nostre esistenze non possano considerarsi slegate da ciò che succede in natura.
Non c’è, però, solo spazio alla sfiducia. A Modern Cronkite di Richard Friedman è il diario degli ultimi giorni di vita di un giornalista che descrive la fatica di vivere su un pianeta in cui viene razionato anche l’ossigeno. Ma nonostante tutto la speranza non è persa perché i membri di una società segreta dispiegata su tutto il pianeta decidono di ripiantare alberi rischiando la loro stessa vita a causa del clima estremo.
Poi ci sono soluzioni fantasiose. Isaac Yuen immagina una macchina del tempo molto costosa con la quale l’uomo può viaggiare indietro nel tempo e tornare alla fine del XX secolo quando in estate la temperatura non superava i 50 gradi. In The Outcast Gem Tanja Rohini Bisgaard racconta di un’altra macchina che estrae CO2 dall’atmosfera e la trasforma in diamanti perfetti. Oppure c’è lo spray contenente batteri in grado di metabolizzare le microplastiche disperse negli oceani descritto da John A. Frochio in Driftplastic.
Certo, parlare di futuro attraverso il genere fantascientifico per qualcuno potrebbe essere banale, ma accade anche che la realtà superi l’immaginazione, come nel caso degli scienziati che oggi stanno lavorando a soluzioni ancora più bizzarre per tentare di arginare i cambiamenti climatici.
È il caso di un progetto di David Keith, professore di fisica applicata ad Harvard, che propone di irrorare nell’aria solfati in grado di bloccare parzialmente i raggi solari creando così un effetto inverso a quello “serra”, replicando sostanzialmente ciò che avviene durante un’eruzione vulcanica. La ricerca sull’irrorazione di solfati in atmosfera è tuttora in atto ad Harvard e chissà che non possa essere una buona soluzione per arrestare il riscaldamento globale.
E in Italia? In queste settimane di caos generale tra dibattiti su politica, economia e ricette magiche per risollevare le sorti del nostro Paese, trovo paradossale che non si parli di riscaldamento globale, un problema che abbiamo sotto i nostri occhi. Anche i negazionisti dalle nostre parti dovrebbero capire che il riscaldamento globale è reale e che dovremmo cominciare a parlarne.
Basterebbe chiedere ai cittadini di Miami, che vedono le strade allagate anche senza nubi all’orizzonte, o a chi studia Venezia che è perfettamente consapevole dell’insufficienza del progetto MOSE; già antiquato perché l’innalzamento delle acque avverrà da diverse direzioni non contemplate dal progetto (anche qui le alternative bizzarre non mancano: ad esempio iniettare cm cubici di acqua salata nel sottosuolo per innalzare Venezia di 30 cm. Come si dice in questi casi: ai posteri l’ardua sentenza).
Tornando alla narrativa, spero di poter leggere ancora raccolte e racconti sul cambiamento climatico perché occorre accrescere la consapevolezza generale sui rischi reali che corriamo e ogni forma di comunicazione che lo dovesse fare sarebbe la benvenuta. Senza aspettare troppo, però. Perché come scrisse Voltaire: «Gli uomini discutono. La Natura agisce».